Secondo uno studio del Centro Nazionale delle Ricerca (CNR), il 2022 è l’anno più caldo di sempre nella storia d’Italia, e il primato riguarda sia le temperature medie sia quelle massime. Un anno nel quale abbiamo sperimentato la siccità, i fiumi in secca, incendi, alluvioni e crolli di ghiacciai. Ma lo stivale non è un’anomalia: in ogni angolo del mondo i primi effetti del cambiamento climatico si fanno sentire, causando anche morti e distruzioni, mentre soprattutto nel Sud Globale milioni di persone sono costrette ad abbandonare le terre in cui vivono.
La crisi climatica è entrata nelle nostre vite. Quel che fino a pochi anni fa, almeno nei ricchi Paesi, era dato per scontato, ora inizia a non esserlo più: l’accesso all’acqua, per esempio, ma anche quello all’elettricità, o la produzione di cibo. Studi e analisi ormai decennali evidenziano che i cambiamenti in atto sono provocati dalle attività umane; e aggiungono che queste attività non sono genericamente attribuibili all’umanità – e, del resto, una parte maggioritaria della popolazione mondiale è ben al di sotto del limite pro-capite di emissioni al di là del quale si compromette il clima – ma sono il frutto amaro di un sistema economico, produttivo e sociale fondato sul profitto: il capitalismo. Come ha evidenziato Oxfam, chi è più ricco è esponenzialmente più responsabile delle emissioni in atmosfera, e il 10% più ricco della popolazione mondiale, proseguendo con questi stili di vita, porterà da solo l’umanità all’estinzione.
Tutto ciò ci conferma che crisi climatica e crisi sociale sono due facce della stessa medaglia, e fine del mese e fine del mondo parte della stessa lotta. Una verità che i governi e le multinazionali continuano a nascondere, per poter garantire profitti e posizioni di rendita che, altrimenti, sarebbero spazzate via. La crisi energetica, che nella guerra ucraina è esplosa, ne è una dimostrazione, con la ricerca di fornitori alternativi alla Russia e l’avvio di nuove trivellazioni, anche nel nostro territorio, mentre COP27 ha certificato che le conferenze intergovernative non servono ad affrontare il riscaldamento globale, ma a cercare alchimie che non mettano in discussione il sistema economico che lo provoca.
La scellerata politica di girarsi dall’altra parte, lasciando inascoltati gli appelli e le argomentazioni di tante/i scienziate/i, è trasversale alle forze politiche e ai livelli di governo. Anche nella nostra città e nella nostra regione ne abbiamo una pluralità di esempi: dall’allargamento del Passante di Bologna alla volontà di ancorare dei rigassificatori lungo la costa adriatica, dai nuovi poli logistici allo sfruttamento turistico dell’Appennino, il profitto – e non il benessere collettivo – è la bussola che continua a orientare le scelte che plasmeranno il nostro futuro. L’ormai innegabile crisi climatica è entrata nella narrazione istituzionale, ma invece di mettere in discussione il sistema che l’ha generata, viene usata per giustificare scelte e progetti che garantiscono lo status quo, attraverso un becero equilibrio tra ‘sviluppo’ e presunta ‘sostenibilità’ che serve a garantire che tutto sarà come prima per coloro che maggiormente avrebbero da rimetterci da scelte serie e coerenti capaci di affrontare le cause della crisi climatica.
La giustizia sociale e climatica non ha spazio né nei consigli d’amministrazione delle grandi multinazionali – che, del resto, hanno già dimostrato più volte quanto siano cinicamente disposte a sacrificare il benessere collettivo sull’altare del profitto – né nelle stanze istituzionali, dove le spinte per garantire investimenti tossici e scelte nocive continuano a prevalere e a dettare l’agenda politica.
È a partire da questa consapevolezza che ci affacciamo al 2023. Sapendo che non ci saranno tecnologie magiche o consigli dei ministri a farsi carico di rompere un meccanismo che sfrutta e devasta, ma che i sentieri da percorrere stanno nelle lotte sociali, nel costruire la consapevolezza che una vita bella passa attraverso il ribaltamento dei rapporti di forza, e che negli incontri e nelle strade, nelle assemblee e nelle piazze, possiamo costruire collettivamente un altrove possibile. Anche nel nuovo anno, avremo molto da fare. Fight for Climate Justice.