Nelle scorse settimane è stato annunciato un pesante aumento delle bollette legate all’energia e al gas. Per calmierare i costi, a fine settembre il Governo è intervenuto con un decreto che stanzia 3 miliardi di euro, destinando poco più di un decimo di queste risorse – 450 milioni – al bonus per le famiglie con redditi più bassi.
Il ‘Ministro della Transizione’, Roberto Cingolani, aveva imputato l’aumento a due cause: da una parte la crescita dei costi delle materie prime; dall’altra il cosiddetto ‘prezzo della Co2’, ovvero i permessi per inquinare gestiti dall’Unione Europea che si pagano in base alla quantità di Co2 emessa. Siccome i produttori di energia inquinano, devono comprare questi certificati, e naturalmente scaricano i costi in bolletta.
Con queste affermazioni il Ministro aveva non troppo velatamente fatto intendere che la transizione energica è un costo insostenibile per le famiglie. Lo aveva fatto poche settimane dopo aver riaperto la discussione sul nucleare e qualche giorno dopo aver definito gli ambientalisti peggio della catastrofe ecologica. Eppure, come ha spiegato Re:Common in un utile articolo, entrambe le motivazioni avanzate dal Ministro sono dovute alla medesima causa: aver deciso per tanti anni di favorire gli investimenti nell’energia fossile, invece di diversificare le fonti energetiche puntando sulle rinnovabili.
La causa degli aumenti delle bollette, dunque, non è la transizione energetica, ma l’energia fossile: la stessa che è alla base del riscaldamento globale, e sulla quale le grandi multinazionali non intendono veder tagliati i propri profitti.
Detto ciò, ci sembra ci sia un altro elemento che è rimasto sottotraccia nel dibattito. È il tema di chi e come consuma. Come ha raccontato Jacobin Italia a inizio settembre, molti studi hanno reso evidente la disparità di consumi – e di sprechi, e di inquinamento prodotto – tra i ricchi e il resto della popolazione. E, d’altra parte, è chiaro che un aumento del costo delle bollette sarà proporzionalmente molto più pesante per i portafogli dei redditi bassi, rispetto a coloro che detengono grandi ricchezze e patrimoni. Il governo riconosce implicitamente quest’ovvietà, stanziando un decimo delle risorse messe sul tavolo proprio per affrontare la povertà energetica.
Ma il tema dell’energia non può essere affrontato con strumenti emergenziali. Da una parte, infatti, è necessario promuovere un calo dei consumi che, come abbiamo visto, eccedono soprattutto nel mondo del lusso. Dall’altra dobbiamo garantire a tutte le famiglie il diritto al riscaldamento e all’energia elettrica. Dopo decenni di entusiastico liberismo, sembrerà una bestemmia, eppure noi pensiamo che chi più ha, più deve pagare, sia per estirpare la povertà energetica, sia per colpire quei comportamenti energivori finalizzati soltanto all’esibizione del lusso e della ricchezza.
L’energia non può avere un costo di mercato uguale per tutte/i. Pur considerando misure finalizzate a evitare sprechi indipendentemente dal reddito di chi consuma, il costo deve essere proporzionale ai redditi. Dobbiamo allo stesso tempo consumare meno energia e garantire a tutte/i di beneficiarne in maniera completa, senza temere la chiusura del contatore a fine mese: solo così la transizione energetica potrà essere compatibile con la giustizia climatica.