In fondo, basterebbe dire ‘convergenza delle lotte’ per spiegare perché giustizia climatica è (anche) diritto alla casa. Ma, al di là della voglia di mettere insieme percorsi di mobilitazione, c’è molto altro: perché casa non è soltanto un bisogno essenziale, ma rappresenta la condizione indispensabile, e irrinunciabile, per essere parte della società. E il fatto che ci siano famiglie, studentesse e studenti, individui che una casa non ce l’hanno, rappresenta un’insopportabile violenza in qualunque città.
La mattina del 6 dicembre la questura di Bologna ha deciso di sgomberare due occupazioni abitative: la prima, in via di Corticella, dove da alcuni mesi hanno trovato alloggio alcune famiglie che, pur avendo dei redditi, non riescono ad accedere a una sistemazione dignitosa; la seconda, in via Filopanti, dove studentesse studenti hanno cercato quel posto letto che città e Università non sono in grado di offrire, nonostante quello della conoscenza sia uno dei pilastri su cui Bologna fonda la sua secolare autostima e su cui racconta il proprio futuro.
Vedere dei bambini in strada, quando non si contano gli alloggi sfitti, è inaccettabile. Tutte e tutti noi costruiamo la nostra quotidianità a partire da una casa in cui tornare: andiamo a studiare o al lavoro, organizziamo il nostro tempo libero, ci prendiamo cura delle nostre relazioni, ci preoccupiamo delle vicende collettive a partire da quattro mura che chiamiamo casa. Ed è per questo che non c’è giustizia climatica quando non c’è una casa: perché sgomberare un alloggio significa espellere quelle persone dal tessuto sociale, costringendole a una quotidianità che non ha più nulla a che fare col cosa vogliamo costruire collettivamente, ma è arbitrariamente limitata al dove sarà possibile dormire al caldo stasera.
Con la stagione invernale iniziata, il governo ha deciso di mostrare ancora una volta la forza bruta contro chi rivendica diritti e una vita bella per tutte e tutti. E’ lo stesso governo che, nei consessi internazionali, definisce ideologica la posizione di quanti sottolineano le ingiustizie che sono allo stesso tempo causa e conseguenza della crisi climatica. C’è una coerenza di fondo tra queste dichiarazioni e gli sgomberi di quest’oggi: l’insofferenza per la giustizia sociale, per le capacità collettive di individuare cause e proporre soluzioni dal basso, per la voglia di riscatto di tante e tanti, per la ricerca costante di una vita bella per tutte e tutti – e non di profitti e privilegi per pochi – in un Pianeta sano e vivibile.
Le lotte per la casa sono le nostre lotte e, per questo, nei mesi passati abbiamo più volte incrociato le iniziative di PLAT – Piattaforma di Intervento Sociale: nell’alluvione e nei percorsi di ricostruzione dal basso, nelle occupazioni abitative e nelle riflessioni sulle energie rinnovabili, nell’immaginare le quattro mura che chiamiamo casa come luoghi in cui nascano prospettive altre, fatte di bisogni e soluzioni collettive, di resistenze e innovazioni. Per questo, per altro, per tutto, è tempo di aprire le porte degli edifici inutilizzati per dare a tutte e tutti la casa a partire dalla quale immaginare, collettivamente, la città dei prossimi decenni: per costruire giustizia climatica, mai più senza casa!