Venerdì 19 aprile anche a Bologna si è manifestato per il Global Strike. Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento delle realtà ecologiste bolognesi, e il nostro intervento.
INTERVENTO DELLE REALTA’ ECOLOGISTE BOLOGNESI
In un giorno di protesta e di mobilitazione diventa evidente quanto ci sia bisogno non di una, ma di mille rivoluzioni capaci di porre domande all’altezza del nostro tempo.
Sono giorni cupi. Le nuvole nere all’orizzonte non sono cariche di pioggia, ma del fumo nero delle bombe che cadono su Gaza e dei proiettili nei territori occupati in Cisgiordania. L’Europa si presenta sull’orlo della guerra globale con la spocchia di chi si ritiene garante di democrazia e giustizia.
Il nostro continente è oggi un’industria di guerra, capace di produrre un duplice sterminio, quello dei popoli oppressi e quello del mondo in cui viviamo. Collaborando con genocidi, producendo ecocidi.
Non c’è giustizia climatica dove i potenti della terra sganciano bombe e terrorizzano popoli. Si diceva che dovevamo uscire migliori dalla pandemia, ne siamo usciti guerrafondai.
È questo ciò che chiamiamo democrazia? È questo ciò che chiamiamo giustizia?
In tutta Europa, lottare per un mondo diverso è sempre più difficile e le proteste trovano risposte sempre più repressive. Lo vediamo anche in Italia con le lotte No-Tav, le manifestazioni a Roma e a Pisa e, nella nostra città, la coraggiosa protesta del Parco Don Bosco.Il risultato è sempre lo stesso: la.repressione con il rumore dei manganelli che silenziano il dissenso.
È questo ciò che chiamiamo democrazia? È questo ciò che chiamiamo giustizia?
Stati nazionali alzano muri contro i migranti, grandi aziende ricorrono al greenwashing, speculatori del cemento ritengono il consumo di suolo una misura utile per l’ambiente. Dove si vuole diminuire l’uso dei mezzi privati si allargano le strade, dove si vuole mitigare le temperature si abbattono alberi. Dove si predica pace, si producono bombe.
È questo ciò che chiamiamo democrazia? È questo ciò che chiamiamo giustizia?
Stiamo perdendo le nostre sicurezze e a pagare sono gli ultimi. Si sposta all’estero la produzione di industrie con il bilancio in attivo come succede con GKN, MagnetiMarelli, Maserati. E così il passaggio alle fonti rinnovabili e le vite di chi lavora sono sul piatto di una trattativa il cui scopo è l’aumento dei super profitti.
È questo ciò che chiamiamo democrazia? È questo ciò che chiamiamo giustizia?
Occorre dare voce e corpo a nuove idee di giustizia e libertà.
Occorre immaginare forme nuove di partecipazione. E non come avviene nei tavoli che ben conosciamo della nostra città, dove persino la semplice richiesta di Valutazione di Impatto sanitario sul Passante viene negata.
Occorre parlare non di guerre ma di cura dei territori e di chi li abita.
Al fumo nero che le nazioni, le classi dirigenti e le grandi potenze economiche stanno innalzando le realtà ecologiste rispondono all’unisono, cercando punti di contatto col popolo palestinese.
Per questo ci rivedrete ancora in piazza insieme, il 25 aprile, con uno spezzone ambientalista a lottare per una nuova liberazione.
Le uniche nuvole che accettiamo all’orizzonte sono quelle della pioggia che non scende. Il resto, il fumo soffocante che si presenta di fronte a noi, non lo vogliamo.
La soluzione la stiamo ancora costruendo, ma il cammino è tracciato.
INTERVENTO DI BOLOGNA FOR CLIMATE JUSTICE
Come ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite siamo entrate nell’era dell’ebollizione globale. Dopo un 2023 che ha registrato nuovi record di temperatura, anche i primi mesi dell’anno hanno fatto registrare le temperature medie più alte di sempre. Negli ultimi anni abbiamo vissuto siccità e ondate di calore, alluvioni e frane.
In questo contesto, dobbiamo immaginare collettivamente la Bologna che vogliamo vivere nei prossimi anni. Una città che deve essere capace di affrontare gli eventi estremi e le temperature estive sempre più alte, ma anche la cappa di inquinamento che per lunghe parti dell’anno avvelena la pianura padana.
Come ci ha ricordato in queste settimane il Comitato Besta, le piante sono fondamentali per rendere vivibile l’ambiente urbano. Non si tratta soltanto di curare quelle esistenti, ma di immaginare una città che si faccia foresta, capace di ripensare il proprio essere ecosistema allo stesso tempo sociale ed ambientale.
Una città nella quale le infrastrutture siano al servizio della qualità della vita e non dell’economia. Ed è anche per queste ragioni che non possiamo non contestare le tante scelte infrastrutturali che le istituzioni locali, regionali e nazionali continuano a imporre ai territori che viviamo. Strade e autostrade, viadotti, bretelle: tante nuove opere di asfalto e cemento che aggravano il consumo di suolo e impediscono una trasformazione radicale dello spazio pubblico.
Il progetto di allargamento del Passante di Mezzo è, in questo senso, l’opera simbolo della scelta consapevole di ignorare la crisi climatica e le sue conseguenze sociali ed ambientali. Come sappiamo, allargare fino a 18 corsie un’autostrada significa cementificare ulteriore suolo; significa più automobili che attraversano il nostro territorio; significa più traffico e più inquinamento; e, soprattutto, significa perpetuare un modello che ha fatto della pianura padana uno dei territori più inquinati e insalubri d’Europa.
Il Comune di Bologna dice di avere una missione: quella di far si che la nostra città sia carbon-neutral entro il 2030; ma, come abbiamo già scritto con le altre realtà ecologiste, senza una moratoria sul Passante e una Valutazione di Impatto Sanitario dell’infrastruttura non esiste alcuna missione bolognese verso la città carbon-neutral nel 2030.
L’abbiamo detto tante volte e lo ripetiamo: è tempo di costruire il futuro e smettere di investire risorse su quelle infrastrutture che in questi decenni hanno contribuito drammaticamente all’inquinamento dei nostri territori: fermare l’allargamento del Passante, ora!