Il 3 marzo 2023 il Comune di Bologna ha annunciato con una conferenza stampa l’avvio dell’Assemblea Cittadina sul clima, con la spedizione delle lettere di convocazione delle cittadine e dei cittadini; l’annuncio era già stato dato il 2 agosto 2022, e l’Assemblea – secondo le dichiarazioni di allora – avrebbe dovuto essere convocata nell’autunno dello stesso anno per “scrivere in forma partecipata il contratto sul clima per andare verso una città carbon-neutral”. Nel sito istituzionale dell’amministrazione comunale si spiega che la scelta di attivare questo nuovo strumento di partecipazione fonda le sue radici nella dichiarazione di emergenza climatica votata dal Consiglio Comunale nell’ormai lontano 2019. Per questo, il 13 luglio 2021 il Consiglio Comunale ha approvato una modifica allo Statuto Comunale.
L’assemblea cittadina sul clima è una precisa rivendicazione di Extinction Rebellion, che nel 2020 ha organizzato anche uno sciopero della fame durato 17 giorni. Si tratta di uno strumento di partecipazione chiamato a esprimere raccomandazioni su specifici temi, che il Consiglio Comunale potrà poi accettare o respingere, motivando la propria scelta. Come altri strumenti di partecipazione, dunque, sulla carta non è né bello né brutto, né buono né cattivo: dipende dall’uso che la politica istituzionale ne vuole fare.
Detto che gli strumenti partecipativi sono, appunto, strumenti, e non la panacea di tutti i mali, e che la partecipazione ha una moltitudine di strade per esprimersi quotidianamente nelle nostre città con competenze e passione, resta la grande domanda: il Comune di Bologna che uso vuole fare degli strumenti partecipativi di cui si vanta? Ci sono almeno due ragioni per temere che a Palazzo d’Accursio più che il coinvolgimento attivo delle/dei cittadine/i, ci sia chi cerca strumenti di costruzione del consenso.
La prima ha a che fare con i continui ritardi nell’attivazione di questo nuovo strumento, che doveva già essere operativo molti mesi fa. L’assemblea cittadina sul clima è stata voluta nell’ambito della ‘Mission Climate-neutral and smart cities’ promossa dalla Commissione Europea per coinvolgere un centinaio di città disposte a correre più delle altre verso la neutralità climatica, conseguendola già nel 2030, per dimostrare che si tratta di un obiettivo credibile e raggiungibile. Al netto di ogni pur ragionevole dubbio sulla reale volontà di coltivare questa ambizione, Bologna dovrebbe essere ‘climate-neutral’ nel 2030: ci piacerebbe davvero tanto, ma fatichiamo a vedere tracce che indichino l’avvio di un percorso determinato verso questa destinazione. L’assemblea dovrebbe essere – secondo le stesse indicazioni fornite dalla Commissione, che ha chiesto un forte coinvolgimento delle/dei cittadine/i – l’asse portante attraverso il quale costruire il ‘Climate City Contract’, ovvero l’impegno inter-istituzionale che dovrebbe dare il via alla missione. L’Europa non ha dato scadenze ufficiali per la realizzazione di questo ‘contratto’, ma è dal 28 aprile 2022 che ha annunciato le città selezionate: considerato che il 2030 è dietro l’angolo, quanti mesi ci saranno ancora a disposizione per redigere il documento? E se, come ormai sembra chiaro, il tempo per discutere del Climate City Contract sta per scadere, come si struttura un percorso partecipativo serio e coerente, che permetta a un’assemblea cittadina di approfondire tematiche così complesse e proporre soluzioni? Perché – diciamolo – l’assemblea cittadina non è e non può essere il luogo nel quale un primo cittadino presenta le sue illuminanti visioni e raccoglie un applauso.
La seconda ragione è legata alle tematiche che l’assemblea cittadina discuterà. Sappiamo bene che ci sono scelte prese dalle istituzioni locali che impatteranno in maniera fortemente negativa sulla città di Bologna, e che aumenteranno le emissioni prodotte nel territorio comunale. Tra queste, qui ci limitiamo a ricordare a titolo di esempio il progetto di allargamento del Passante di Mezzo (approvato due anni dopo la dichiarazione d’emergenza climatica) che, se avviato, produrrebbe grandi quantità di Co2 durante la fase di cantiere, e ad allargamento concluso farebbe crescere il contributo di quell’infrastruttura al totale delle emissioni cittadine, con Bologna che sarebbe costretta a ‘compensare’ quelle emissioni per rispettare i suoi stessi impegni. Come mai le linee guida approvate dal Consiglio Comunale hanno delimitato il campo di discussione dell’assemblea cittadina, e temi così importanti e decisivi per il futuro di Bologna sono stati esclusi a priori dalla possibilità di essere dibattuti in un’assemblea cittadina? E se il dibattito non è aperto anche alle grandi scelte strategiche e ai grandi investimenti, cosa resta da discutere in un’assemblea cittadina sul clima? In fondo, per restare sull’esempio del Passante, di quell’infrastruttura – considerata del tutto contraddittoria anche da molte/i docenti universitari, professioniste/i, network e associazioni nazionali e internazionali che si occupano di queste tematiche – se ne parla ormai da molti anni, e qualche mese in più per permettere alle/ai bolognesi di discutere se continuare a subire quella servitù di passaggio non avrebbero certo fatto male alle casse di Società Autostrade.
Ancora una volta, la necessità di costruire giustizia climatica è uno slogan da conferenza stampa. Lo abbiamo vissuto nel dibattito sul Passante, durante il quale non a caso il Sindaco ha spiegato al consiglio comunale che spetta a quell’aula, e non alle/ai cittadine/i, decidere su temi così importanti; e lo stiamo osservando anche nella costruzione della partecipazione di Bologna alla ‘Mission Climate-neutral and smart cities’, con un’assemblea cittadina che s’è persa per strada, mentre la crisi climatica si manifesta in maniera sempre più evidente anche nei territori che viviamo. Non s’è perso tempo per approvare allargamenti di strade e autostrade, grandi cantieri edili e faraoniche opere. Per discutere di giustizia climatica, invece, il momento buono è sempre domani.