La Commissione Europea ha comunicato le città selezionate per partecipare alla Mission ‘Climate-neutral and Smart Cities’. Il sindaco Matteo Lepore non ha mancato di esprimere la propria soddisfazione, dichiarando che le città italiane – insieme a Bologna sono state selezionate anche Bergamo, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino – saranno il ‘nodo europeo della transizione climatica’. Parole che, ovviamente, sono oggi soltanto tali: per far sì che esse diventino realtà, Bologna dovrà avviare un percorso a tappe forzate capace di farla essere ‘climate-neutral’ entro il 2030. Ci sembra, quindi, opportuno iniziare a capire cosa significa questa sfida, al di là della retorica con la quale viene annunciata.
Essere stati selezionati è un successo di Bologna? No, ma può essere un’opportunità. Non è un successo perché la Commissione Europea non ha cercato le città maggiormente impegnate sul tema della transizione, o quelle più coerenti con gli obiettivi dell’European Green Deal: se fosse andata così, del resto, nessuna città italiana avrebbe avuto le caratteristiche per entrare tra le selezionate. Con la Mission, infatti, l’Europa ha voluto selezionare 100 città ‘pilota’ capaci di dimostrare che costruire percorsi di transizione verso la neutralità climatica – obiettivo che l’Unione Europea si è impegnata a raggiungere entro il 2050 – non è un’utopia. Le città selezionate dovranno raggiungere questo obiettivo vent’anni prima, entro il 2030, per dimostrare che non stiamo parlando di una mission impossible e per fornire a tutte le aree urbane, attraverso la propria esperienza, esempi da seguire e conoscenze alle quali attingere. Da questo punto di vista, il livello di partenza delle città su questi temi non è stato tra gli elementi prioritari nella fase di selezione: se tutta l’Europa deve diventare climate-neutral, infatti, non bastano le città virtuose, ma ci vogliono anche quelle che convivono con alti livelli di inquinamento e hanno finora contribuito poco al percorso di transizione.
Bologna, quindi, non è stata premiata, ma scelta per le sue caratteristiche. Che – per citare solo alcuni elementi – sono quelle di una città che è posizionata nella pianura più inquinata d’Europa, rappresenta un nodo strategico della mobilità nazionale e internazionale, ha una grande quantità di edifici inefficienti dal punto di vista energetico, mentre l’auto resta il mezzo principale per spostarsi; e ha un’economia che, tra i suoi punti di forza, propone l’industria dei veicoli su gomma. E’ da tutto ciò, e non da qualche sporadico ‘progetto pilota’, che il dibattito pubblico deve prendere le mosse se l’ambizione è quella di essere protagonisti della transizione climatica.
Ma perché una ‘mission’? La Commissione Europea l’ha chiamata così pescando dall’immaginario della missione Apollo11 che ha portato il primo essere umano a mettere piede sulla Luna. Quella missione – dice la Commissione – è stata possibile grazie a una straordinaria mobilitazione di risorse e al contributo di tutti i saperi scientifici, ma anche grazie alla capacità di uscire dai punti di vista consolidati e provare a pensare diversamente. Ed è qui che cogliamo cosa farebbe diventare la selezione di Bologna un’opportunità; in questi mesi, infatti, abbiamo sentito dall’amministrazione comunale, dalla regione e dal governo nazionale le solite parole che ci hanno portato nel pieno dell’emergenza climatica: sviluppo, PIL, infrastrutture, crescita, rilancio economico. Il benessere delle prossime generazioni – ma anche il nostro, negli anni che verranno – non si baserà più su questi concetti: produrre e accumulare ricchezza è infatti la scorciatoia verso la catastrofe climatica. Dobbiamo quindi fondare su basi nuove la qualità della vita, pensando alla transizione come a un percorso che possa migliorare il benessere collettivo, costruire uguaglianza e rispettare il Pianeta.
La sfida, oggi, non è migliorare ciò che abbiamo, ma rivoluzionare: per fare un esempio che, peraltro, calza a pennello con Bologna, il tema non è quello di incrementare le prestazioni energetiche dei mezzi che oggi sono al centro della mobilità locale, regionale e nazionale, ma rivoluzionare le modalità di trasporto.
E, partendo da questo esempio, vogliamo aprire un’altra riflessione concreta. Le linee guida della Mission ‘Climate-neutral and smart cities’ prevedono che, nel computo delle emissioni climalteranti prodotte da una città, non sarebbero conteggiate quelle di infrastrutture che la attraversano, ma non sono comunali. E’ il caso del ‘Passante di Mezzo’, il sistema di tangenziali e autostrade che Comune, Regione e Governo vogliono allargare fino a 18 corsie. Ma i 150 mila veicoli che transitano ogni giorno su quest’infrastruttura passano a pochi chilometri da Piazza Maggiore e le stime di Società Autostrade prevedono una crescita di 1.850 tonnellate di CO2 all’anno nel caso il Passante fosse allargato: quanto può essere serio un Comune che dovesse decidere di non comprendere queste emissioni nel proprio bilancio complessivo, visto che quell’infrastruttura produce già oggi più del 40% del totale delle emissioni cittadine che, tra l’altro, hanno un impatto diretto sulla salute delle/dei bolognesi?
Da questo punto di vista il Passante è ancora una volta la cartina di tornasole delle politiche della maggioranza che governa Palazzo d’Accursio: allargarlo non comprometterebbe i file Excel su cui saranno monitorate le emissioni bolognesi, perché il Comune potrebbe non conteggiare quelle prodotte dall’infrastruttura, ma renderebbe nulla la credibilità di un percorso di transizione che non può basarsi solo su un foglio di calcolo, ma che dovrà fare i conti con il mondo reale, con l’aria avvelenata che respiriamo e con la quantità di emissioni climalteranti rilasciate nel territorio bolognese.