In questi giorni il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) ha pubblicato un nuovo studio intitolato “Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in sei città italiane”.
Attraverso grafici e tabelle, le ricercatrici e i ricercatori che hanno collaborato alla pubblicazione hanno prodotto un report su Bologna che evidenzia la crescita della temperatura media in città, aumento che è diventato una costante negli ultimi anni. Particolarmente significativa è la tendenza legata alle cosiddette ‘notti tropicali’, ovvero quelle notti in cui la temperatura non scende mai sotto i 20°C, con un trend chiaramente in crescita nel trentennio tra il 1989 e il 2019. Questo indicatore, secondo chi ha redatto il rapporto, rappresenta “un valore molto importante per valutare l’impatto dei cambiamenti climatici sul benessere fisico delle persone”, andando ovviamente a incidere sulla nostra qualità del sonno.
Il rapporto – che prende in considerazione anche altri aspetti come le precipitazioni – elabora inoltre delle analisi rispetto agli scenari futuri, prevedendo un aumento della temperatura media di almeno 6°C nei prossimi 100 anni nel caso in cui non vengano attuate politiche climatiche finalizzate alla mitigazione e all’adattamento. Anche nello scenario più roseo, ovvero quello in cui vi sono interventi per contenere la crescita della temperatura, il suo aumento nel prossimo secolo potrebbe attestarsi in città intorno ai 2°C. I giorni caldi – quelli che le previsioni meteo amano definire ‘da bollino rosso’ – aumenteranno in tutti gli scenari.
Non si tratta soltanto di boccheggiare: il rapporto sottolinea che “sono attesi incrementi di mortalità per cardiopatie ischemiche, ictus, nefropatie e disturbi metabolici da stress termico e incremento delle malattie respiratorie dovuto al legame tra i fenomeni legati all’innalzamento delle temperature in ambiente urbano (isole di calore) e concentrazioni di ozono e polveri sottili”.
Questa particolare fragilità degli ambienti urbani è data dalla loro conformazione. Le nostre città, infatti, sono territori prevalentemente cementificati, nelle quali ogni spazio utile è asfaltato per far posto a un parcheggio. Per questo, ricorda lo studio, “le aree urbane sperimentano temperature più elevate anche di 5-10°C rispetto alle aree rurali circostanti”.
Infine, ci sono i costi. Che, se l’aumento di temperatura dovesse essere superiore ai 2°C rispetto al periodo preindustriale, “aumenterebbero in modo esponenziale” con perdite economiche che potrebbero raggiungere a fine secolo il 7-8% del PIL pro-capite. Non tutti, però, subirebbero i danni del riscaldamento globale allo stesso modo: “i cambiamenti climatici aumentano la disuguaglianza economica tra le regioni, con valori degli indicatori di “uguaglianza” che peggiorano del 16% nel 2050 e del 61% nel 2080 con lo scenario più estremo”.