Nei mesi passati Campi Aperti aveva chiesto la revisione del regolamento comunale per i mercati contadini del Comune di Bologna. Il risultato del lavoro dell’amministrazione comunale non è però quanto aveva auspicato il mondo contadino. Pubblichiamo di seguito la lettera aperta alle e ai bolognesi di Campi Aperti per la Sovranità Alimentare.
Perché questo regolamento non ci piace
Lettera aperta alle e ai bolognesi
Un paio di settimane fa, il consiglio comunale ha approvato il nuovo regolamento per i mercati contadini della città di Bologna.
La proposta? Viene da noi!
In realtà, la proposta di un nuovo regolamento l’abbiamo formulata noi di Campi Aperti per la Sovranità Alimentare, una associazione di cittadine, cittadini, contadine e contadini biologici che da vent’anni (quindi, da prima che esistesse una legge nazionale) organizza, attivamente, sette mercati di vendita diretta su Bologna e Casalecchio. Avevamo chiesto la revisione del regolamento esistente perché ritenevamo che, dopo aver organizzato e gestito mercati in base a norme comunali ormai obsolete e, in parte superate, dalla legislazione nazionale, fosse opportuno offrire l’esperienza maturata per provare ad invertire le dinamiche presenti nel mondo agricolo.
Il modello agricolo odierno e le prospettive con il nuovo regolamento
Da decenni, infatti, le piccole aziende contadine vengono marginalizzate a favore di un modello produttivo ed alimentare che, tra le altre cose, contribuisce abbondantemente alla crisi climatica e ambientale in cui stiamo precipitando.
L’agricoltura industriale che ha per terminale naturale la grande distribuzione organizzata, infatti, ha trasformato la produzione di alimenti in un processo lineare che genera povertà, sfruttamento della manodopera, inquinamento di aria, acqua e suolo, cibi di bassa qualità, spreco e, ultimo ma non per importanza, intorno al 40% delle emissioni di gas ad effetto serra del pianeta. Tale processo è, per di più, spesso finanziarizzato e porta alle speculazioni alle quali, ciclicamente, assistiamo. Una città che mira alla neutralità carbonica al 2030, dunque, non può più permettersi la proliferazione di supermercati e centri commerciali, ormai onnipresenti in qualsiasi area della città.
Occorre contrapporre a quel modello forme di agricoltura che rispettino l’ambiente, che garantiscano la chiusura dei cicli della materia, che aumentino la conservazione nei suoli del carbonio, che non distruggano la biodiversità, che valorizzino il lavoro dell’uomo e non quello delle macchine, che riducano l’immissione in ambiente di composti chimici di sintesi e l’emissione in atmosfera di gas ad effetto serra. Ci auguravamo che questo modello virtuoso venisse adottato da un comune che mira ad obiettivi climatici tanto ambiziosi. Il nuovo regolamento avrebbe potuto essere un primo, importante, passo in questa direzione.
A cosa ci troviamo di fronte?
Ci troviamo tra le mani, invece, un regolamento che non indica nessuna inversione di rotta. Un perfetto esempio di non-politica, come purtroppo se ne vedono tanti. I nostri mercati vengono trattati alla stessa stregua di esercizi commerciali e pubblici esercizi, fino a pretendere il pagamento dell’occupazione del suolo pubblico per eventuali panche e tavoli da mettere a disposizione di chi li frequenta (spesso persone di passaggio che nemmeno acquistano presso i banchi dei nostri produttori), nemmeno fossimo in presenza di quei dehor ormai onnipresenti in città.
Ma non solo. Non c’è nessun accenno a sgravi fiscali per l’occupazione del suolo, né al principio della liberalizzazione delle aree per la istituzione di nuovi mercati che, insieme – come tutto il resto delle proposte – agli altri gestori di mercati di vendita diretta, avevamo chiesto di adottare. Stiamo parlando di un’apertura ampia che si discosta in modo netto dal sistema di bandi che mettono in competizione gli organizzatori di mercati contadini, di fronte a poche piazze pubbliche messe a disposizione. Liberalizzazione che vige, invece – eccome se vige! – per i supermercati (tanto da vederne aprire anche all’interno di edifici storici nel cuore del centro cittadino), ma che non vuole essere applicata a forme meno impattanti di approvvigionamento alimentare della città.
Una questione politica, ma non solo
Insomma, al di là dei dettagli (ce ne sarebbero tanti altri), il nuovo regolamento non esprime una volontà politica di sostegno ad un modello. Ma, così facendo, in una sorta di cerchiobottismo furbetto, di fatto favorisce chi ha le spalle più grosse: agroindustria e GDO su tutte.
E poco vale, ahi noi e ahi tutti, l’ordine del giorno collegato che rimanda, di fatto, a contrattazioni con i singoli settori dell’amministrazione – dall’assessorato al Bilancio a quello ai lavori pubblici, passando per la mobilità e per quello all’ambiente – per lo scioglimento dei diversi nodi che si è deciso di non risolvere col regolamento.
Di fatto, è la certificazione della debolezza politica dello strumento appena adottato e consegna la sorte dei mercati contadini all’aleatorietà ed all’incertezza di trattative con le strutture esecutive, oltre che alla fragilità di equilibri politici che possono variare anche molto rapidamente.
Ovviamente, noi, pensando alla sopravvivenza dei nostri produttori, parteciperemo a questo tour dei settori amministrativi e tecnici, cercando di mettere le toppe al sistema disegnato dal nuovo regolamento. Ma, se il Comune di Bologna abdica al suo ruolo di attore politico (o meglio, consapevolmente o meno, lo mette al servizio dei poteri forti), noi non abbiamo nessuna intenzione di rinunciare alle nostre rivendicazioni. Queste non sono a favore di una categoria, ma della libertà di scelta della comunità a cui, orgogliosamente, apparteniamo e, soprattutto, a favore di un futuro un po’ meno catastrofico di quello che, anche la mancanza di coraggio politico dei nostri governanti, ci sta preparando.
Sovranità alimentare
Questo è sovranità alimentare. Quella che proviamo a garantire da vent’anni. Quindi, in ogni occasione di incontro con gli amministratori, non mancheremo di ricordare loro la necessità di un cambio di orizzonte politico e inquadreremo le nostre richieste all’interno di questa cornice costringendoli, nel limite del possibile, a confrontarsi con questa visione.
Ma anche fuori dagli uffici comunali, continueremo a batterci per il sacrosanto diritto a non far scegliere alla GDO di cosa dovremmo nutrirci e a riportare nelle mani dei cittadini il potere di determinare la propria alimentazione, anche compiendo il piccolo, ma potentissimo gesto di acquistare un semplice cespo di lattuga da un piccolo produttore locale. I nostri mercati rimarranno, altresì, luoghi di incontro perché, ora più che mai, è essenziale ricostruire un tessuto sociale che solo dalla reciproca contaminazione può ripartire.
Ci vediamo in piazza.