Ogni estate, le temperature medie globali raggiungono nuovi record. Nel frattempo, periodi di siccità sempre più lunghi si alternano a piogge catastrofiche e tempeste che devastano i territori che viviamo. Quel che sperimentiamo nei nostri territori – ci dice la scienza – è solo un’anticipazione del clima che vivremo nei prossimi anni e decenni, con ondate di calore sempre più lunghe ed eventi meteorologici estremi. Mentre incendi devastanti inceneriscono in pochi giorni foreste e centri abitati, le acque travolgono case e infrastrutture. Il riscaldamento globale è qui e ora, e minaccia gli ecosistemi e la vita di miliardi di persone.
Ma la crisi climatica non si misura soltanto con i termometri e i pluviometri. Crea danni incalcolabili con costi crescenti, e non si esaurisce nel racconto degli eventi estremi. Territori inariditi e acque inacidite cancellano i presupposti per la vita, costringendo già oggi milioni di persone a fuggire dai luoghi che hanno abitato per generazioni, mentre nelle metropoli coloro che hanno meno subiscono di più i danni alla salute provocati da temperature estreme. Se l’1% più ricco del Pianeta – che, secondo i report, emette almeno 30 volte la quantità di gas climalteranti compatibili con l’obiettivo di mantenere la crescita della temperatura media globale entro il grado e mezzo – sogna villaggi sulla luna e città di lusso a temperatura costante nel deserto, gran parte della popolazione globale è condannata a pagare il prezzo crescente di un modello economico votato al profitto e fondato sulla combustione delle fonti fossili.
Non siamo, quindi, tutt* sulla stessa barca, e non è in cantiere una nuova Arca di Noè che possa mettere in salvo l’umanità e le altre specie viventi dalla catastrofe: da una parte ci sono coloro che, guardando alla natura come a un bene a basso costo, hanno accumulato per decenni enormi ricchezze, e oggi difendono i propri stili di vita insostenibili e predatori e progettano i propri resort di lusso nei quali continuare a godere di beni e servizi prodotti attraverso lo sfruttamento di persone e risorse; dall’altra, un’umanità plurale che guarda al futuro con crescente apprensione, schiacciata da una quotidianità fatta di costi crescenti e lavori precari, e la consapevolezza che se la propria casa va a fuoco, viene scoperchiata da una tempesta o trascinata via da un’alluvione, non c’è un secondo tetto sotto il quale ripararsi.
In questo senso, la crisi climatica è prima di tutto l’ennesima faccia – la più devastante – dell’ingiustizia sociale. Non solo perché è prodotta da decenni di profitti dai quali hanno tratto grande vantaggio un pugno di individui, ma perché la stessa ‘transizione’ discussa negli incontri intergovernativi è radicata in un sistema – il capitalismo – che fa dello sfruttamento lo strumento principale per accumulare ricchezze. E così, mentre le grandi corporation delle fonti fossili discutono di come trasformare in business l’energia rinnovabile, senza nel frattempo perdere i profitti di nuove estrazioni fossili, chi vive in povertà energetica – o chi una casa dove accendere un interruttore nemmeno la ha – è costrett* a dover considerare l’energia non come un bene primario a cui tutt* dovrebbero avere accesso, ma come un lusso che non può permettersi.
In quella che il Segretario delle Nazioni Unite ha definito ‘l’era dell’ebollizione globale’, la sfida posta dal cambiamento climatico non è tanto – o non solo – una sfida ambientale, ma sociale e politica. Perché la forbice tra chi contribuisce tantissimo alle emissioni climalteranti e chi niente è la stessa che divide chi è ricchissimo e chi non ha niente. In questo senso, il riscaldamento globale – e le sue conseguenze – è il un modo con cui il Pianeta mette in luce le ingiustizie sociali su cui si fonda il modello sociale ed economico che viviamo.
Crisi climatica e ingiustizia si mescolano continuamente nelle rinnovate forme di colonialismo e discriminazione, così come nei fenomeni di marginalizzazione e sfruttamento. Chi è più povero è più colpito, nonostante abbia responsabilità marginali, e non ha le risorse per costruire il proprio futuro nell’era dell’ebollizione. Va da sé che queste dimensioni non possono essere scisse: non può esserci una soluzione capace di affrontare la crisi climatica, se questa non è capace di modificare profondamente i rapporti economici e sociali che governano le nostre vite.
Ecco perché è il tempo di costruire giustizia climatica. Perché tutt* possano vivere ambienti sani e territori sicuri, mangiare cibo salubre e di qualità, beneficiare delle innovazioni tecnologiche, dei saperi e delle culture, veder rispettate le proprie identità e valorizzate le diversità, riconosciuti i propri diritti e le proprie competenze. ‘Salvare il Pianeta’ perché a goderne sia l’1% più ricco della popolazione globale non solo è ingiusto, è anche inutile e inefficace. Vogliamo aspirare a molto di più: se chi ha accumulato ricchezze incalcolabili sogna una vacanza sulla luna, noi riprendiamoci il Pianeta Terra.
Questo testo è stato pubblicato all’interno dell’instant book realizzato da Researchers for Climate Justice