Evidentemente non sono soltanto gli ambientalisti ad avere qualche dubbio riguardo il progetto di Eni di realizzare un mega deposito di CO2 a largo di Ravenna. Il CCS (cattura e stoccaggio di CO2) candidato dal Cane a sei zampe al Fondo Europeo per l’Innovazione è stato infatti scartato dalla Commissione, non rientrando tra i 7 progetti aggiudicatari e neppure tra i 15 che riceveranno assistenza dalla Banca Europea per gli Investimenti.
Quella arrivata da Bruxelles è quindi una sonora bocciatura per il cane a sei zampe, che infatti si è guardato bene dal rendere nota la notizia. Durante i mesi estivi, l’azienda di San Donato aveva ampiamente pubblicizzato la candidatura del progetto di Ravenna all’Innovation Fund, proprio a voler ribadire la solidità del progetto. Il dato veniva riportato anche sul sito web dell’Eni, per lo meno fino a gennaio, ma oggi non ve ne è più traccia.
Il no secco dell’Europa mette in seria discussione la credibilità di quest’opera, già molto contestata dall’intero arco della società civile ambientalista italiana, e sarà importante conoscere le ragioni della stroncatura. Tanto più che è di pochi giorni fa la notizia che il governo italiano abbia inserito un articolo nella legge di bilancio che consentirebbe al progetto di ottenere finanziamenti pubblici.
Scelta che ora andrebbe quanto meno riconsiderata sulla base delle valutazioni fatte dai tecnici di Bruxelles.
La cattura della CO2 rappresenta un tassello centrale di quello che Eni definisce il suo piano di decarbonizzazione. Attraverso questa tecnologia Eni afferma di poter prelevare dall’atmosfera ben 50 milioni di tonnellate l’anno di anidride carbonica (al 2050), per poi stoccarle nel sottosuolo o nel fondale marino. Sulla base di quest’assunto, Eni può pertanto continuare ad emettere CO2 e al contempo sostenere di voler raggiungere la neutralità climatica.
Un po’ come nel caso dei progetti di conservazione delle foreste (REDD), attraverso cui il cane a sei zampe ambisce a compensare altre 40 milioni di tonnellate l’anno delle sue emissioni, sempre al 2050.
Intanto è finito al centro delle polemiche anche un altro potenziale progetto di CCS di Eni, questa volta in Australia, legato ad uno dei più costosi e inquinanti impianti di gas liquefatto al mondo, il Barossa LNG della società Santos. Il coinvolgimento di Eni deriva da un accordo quadro siglato con la Santos lo scorso maggio, che prevede lo sviluppo di progetti comuni tra cui il riutilizzo di giacimenti esausti come pozzi di anidride carbonica.
Articolo di Alessandro Runci, tratto da Re:Common