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Abbiamo bisogno degli stati generali della giustizia climatica e sociale?

12 Ottobre | 15:00

Il prossimo 12 ottobre il Collettivo di Fabbrica GKN invita tutte e tutti a Campi Bisenzio per un confronto a partire dalla domanda ‘abbiamo bisogno degli stati generali della giustizia climatica e sociale?’. Di seguito il testo diffuso dal Collettivo di Fabbrica GKN.

Tra l’11 ottobre (climate strike) e il 13 ottobre (assemblea dell’azionariato popolare), manca una convergenza, il 12 ottobre.

Usciamo dall’estate più calda di sempre e quasi certamente più fresca della prossima. La crisi climatica è il risultato dell’ingiustizia sociale e la amplificherà ancora di più. Nasce dalla concentrazione di ricchezza, dalla convulsione finanziaria e produttiva del sistema, e a sua volta le favorisce.

La transizione ecologica non è solo un fatto tecnico. La transizione ecologica è un fatto politico, di pianificazione e consapevolezza sociale, di controllo diffuso, di ricerca pubblica, di giustizia climatica e sociale. L’intera struttura economica attuale rappresenta una barriera a una reale transizione. Lo è nel suo funzionamento, nelle sue leggi intrinseche e in quelle istituzionali. L’accaparramento dall’alto delle parole “transizione ecologica” segue a quello delle risorse, ma non toglie l’urgenza politica della transizione, né copre l’incapacità di compierla dentro questo sistema estrattivista.

La guerra è contemporaneamente la convulsione più alta della crisi sistemica in corso e la negazione ancora più chiara di qualsiasi transizione. Il genocidio in Palestina è sia il completamento dell’annientamento storico della Palestina sia una ulteriore tappa dello sdoganamento di nuovi livelli di barbarie.
La concentrazione della ricchezza agisce in due sensi. Da un lato un enorme potere economico, finanziario, basato sul fossile, sulla guerra, non vuole, non può, non sa fare alcuna reale transizione.

Dall’altro, il dilagare della povertà – all’altro lato della società – aliena milioni di persone dalla lotta contro la fine del mondo, troppo assorbite dalla lotta per arrivare alla fine del giorno o alla fine del mese. Così come il movimento contro la guerra rischia di tramutarsi in una sterile preghiera di pace, il movimento per il clima rischia di essere una serie di auspici, di obiettivi lontani nel tempo. Obiettivi infidi perché difficili da misurare, perché per loro natura sono “sulla carta”, laddove chiunque – tranne gli incalliti negazionisti – può apporre una propria firma senza temere di doverne rendere conto a breve.

A questo rischio di astrazione, i movimenti ecologici e sociali hanno spesso reagito concentrandosi su obiettivi verificabili qui e ora: lotte di territorio, singole vertenze, ecc. Ne sono nate resistenze storiche, esperimenti importanti. La concretezza ricercata rischia di tramutarsi però in assenza di progetto. Il movimento per la giustizia climatica e sociale, almeno in Italia, non si muove in un contesto di convergenza e ricomposizione. Si muove al contrario sovrastato e spesso annichilito dalla frantumazione e dalla concorrenzialità esasperata tra organizzazioni sociali, partitiche, sindacali di un’area che – forse in maniera riduttiva, ma per capirci – definiremmo della sinistra radicale. Il rischio è che la vertenzialità diffusa e territorializzata, lungi dal diventare accumulazione di un progetto, sia complice involontaria della frantumazione. E che si estenda ai movimenti ecologisti radicali anziché creare il nuovo e urgente, nella convergenza.

E’ necessario anche riattualizzare la lettura del presente cogliendo i segnali che vediamo attorno a noi: la crisi climatica è qui ed ora, ed è quindi qui ed ora che noi dobbiamo trovare degli strumenti comuni per resistere alla crisi climatica da dentro alla crisi climatica.
Questo passaggio non può che essere la sintesi del patrimonio di esperienze comunitarie e di lotta che ci circondano, dai collettivi transfemministi ai comitati ambientali, passando per i sindacati, i movimenti sociali e chiunque provi ad organizzarsi dal basso e cogliendo i nessi di sfruttamento su cui si basa il nostro mondo.

L’11 ottobre si terrà lo sciopero globale per il clima. Da lì la ex Gkn tenterà ancora una volta di rimettersi in moto e di determinare un passo avanti del progetto per la fabbrica socialmente integrata. Il 13 ottobre vi invitiamo all’ assemblea internazionale e nazionale dell’azionariato popolare per il progetto Gkn For Future. Tra queste due date sentiamo bisogno di un ulteriore passaggio.

L’azionariato popolare è nelle nostre intenzioni organizzazione popolare, di movimento. Non riteniamo infatti che si possa costruire alcuna oasi felice. La fabbrica socialmente integrata non vivrà senza una costante tensione al cambiamento dei rapporti di forza attorno a sé. Siamo oggettivamente interessati all’allargamento, alla convergenza e riteniamo però sbagliato che questo compito ricada (solo) su di noi.

Per questo il 12 ottobre chiamiamo a una assemblea volutamente interlocutoria, che non sancisca un percorso, ma che provi ad aprirlo. Riteniamo, cioè, che ancora una volta il tentativo vada fatto, verso la creazione degli stati generali della giustizia climatica e sociale. Il 12 ottobre iniziamo la discussione, il 13 ottobre iniziamo ad applicarla a partire da noi stessi – dall’assemblea dell’azionariato popolare.

  • 11-12 ottobre, giornate della reindustrializzazione
  • 12 ottobre, prima tappa: verso gli stati generali della giustizia climatica e sociale?
  • 13 ottobre: assemblea internazionale e nazionale dell’azionariato popolare per Gff

Collettivo di Fabbrica GKN

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