Siamo stati a Friburgo, in Germania. Abbiamo visitato i quartieri e parlato con rappresentanti dell’amministrazione comunale, attiviste/i e persone che lavorano nelle ONG o fanno ricerca all’Università. In questa pagina, l’impressione che ci siamo fatti.
Se chiedi agli ‘addetti ai lavori’ quali saranno le città che guideranno la transizione climatica in Europa, molti ti indicheranno Friburgo in Brisgovia. Situata nel sud-ovest della Germania, vicino ai confini con Svizzera e Francia, la città è cresciuta velocemente negli ultimi decenni: se nel 1963 aveva poco più di 150 mila abitanti, oggi ne conta più di 230.000. Nuovi quartieri oggi in progettazione la faranno crescere ulteriormente attirando nuovi migranti tedeschi (sono il 13% della popolazione quelli che vengono da altre città) e stranieri (attualmente il 17% della popolazione). «Li stiamo progettando – assicurano dal Municipio – perché siano efficienti e climaticamente neutri, e capaci di garantire il massimo benessere sociale».
Che Friburgo sia avanti di almeno un paio di decenni rispetto alle più avanzate esperienze nelle città italiane, è un dato di fatto che si percepisce dopo poche ore di permanenza. Il centro cittadino è quasi interamente pedonale, ma è attraversato dai binari di 5 linee di tram che, in un tempo massimo di circa 20/25 minuti, ti portano in ognuno dei quartieri periferici; nonostante la temperatura rigida (l’abbiamo visitata in giornate in cui la colonnina di mercurio faticava a staccarsi dai 0°C), migliaia di biciclette sfrecciano in ogni direzione, su percorsi dedicati e senza interruzioni che collegano il centro ai quartieri e lungo le corsie ciclabili presenti praticamente in ogni strada. La ferrovia è scavalcata da diversi ponti – molti dei quali ciclopedonali – ed efficacemente collegata alla rete tramviaria e alle infrastrutture dedicate alla mobilità dolce.
Auto? Le statistiche ufficiali dicono che circolano 2 bici per ciascuna auto in strada, e che il numero di auto di proprietà ogni 1.000 abitanti è pari a 393. In gran parte delle strade vige il limite di velocità a 30km/h, e alcune sono spazi condivisi, in cui la carreggiata è contemporaneamente a disposizione di automobilisti, ciclisti e pedoni. Guai, ovviamente, a sostare in doppia fila o sulle corsie ciclabili: abbiamo visto un taxi attendere il proprio cliente per diversi minuti, ma il tassista ha preferito sostare con le 4 frecce accese occupando la carreggiata della strada dedicata alle automobili, piuttosto che mettere in pericolo i ciclisti di passaggio sulla corsia ciclabile.
«Prima della pandemia – raccontano in Municipio – Friburgo ospitava 25.000 visitatori all’anno interessati a studiare i nostri progetti e le nostre iniziative sulla sostenibilità e sulla protezione climatica»; Friburgo, infatti, è da questo punto di vista un caso internazionale, al quale hanno dedicato articoli il National Geografic e la BBC. Ma come mai la città ha conquistato questa fama? Attivisti climatici, funzionari pubblici e politici sono, almeno su questo punto, d’accordo: tutto nasce da una mobilitazione popolare. Correva l’anno 1975 e il Governo federale pianificava la costruzione di una nuova centrale nucleare nei pressi del villaggio di Kaiserstuhl, distante 25 km dalla città. «Gli abitanti del villaggio – raccontano – occuparono il sito in cui era prevista la costruzione, e furono supportati da molti abitanti di Friburgo». La mobilitazione ebbe successo, e tanti cittadini iniziarono a domandarsi da dove proveniva l’energia che consumavano; ventisette di essi, nel 1976, decisero di fondare il ‘Freiburg Eco Institut’, coinvolgendo ingegneri, fisici, chimici, studiosi di legge e teologia. Nel 1986, dopo la catastrofe di Chernobyl e con la nube radioattiva che attraversava i cieli della Germania, il consiglio comunale adottò all’unanimità una nuova decisione su cui si fonda tutta la strategia energetica della città: chiudere con l’energia nucleare, e lavorare per migliorare l’efficienza energetica e sviluppare le energie rinnovabili.
Da questo punto di vista, la città ha anticipato di almeno un decennio la riflessione sulle fonti energetiche. Nel 1982 è stato aperto il ‘Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems ISE’, oggi l’istituzione più grande in Europa a fare ricerca sull’energia solare, con più di 1.200 dipendenti. Intorno a esso nacquero altri centri di ricerca, sia pubblici sia privati, che favorirono la nascita e la crescita di aziende nel settore delle energie rinnovabili, e che oggi danno occupazione a più di 10.000 persone. «La presenza di queste istituzioni – sottolineano in Municipio – è un fattore strategico per la transizione della città. La ricerca, infatti, ha bisogno di testare le soluzioni progettate, e Friburgo è per loro un luogo ideale in cui farlo, anche grazie alla collaborazione e al supporto dell’amministrazione comunale». Ecco perché la città ospita alcune tra le costruzioni che, negli anni, hanno fatto di Friburgo una meta per coloro che volevano saperne di più su efficienza energetica ed energia rinnovabile. Una di queste è ’’Heliotrope’, una palazzina progettata e costruita nel 1994 dall’architetto Rolf Disch e che rappresenta il primo esempio al mondo di edificio che produce maggiore energia di quanta ne consumi, e la cui struttura si muove seguendo i raggi solari per massimizzare la produzione energetica.
Negli stessi anni, Friburgo provava a fare scelte controcorrente anche nel campo della mobilità. “Mentre molte città abbandonavano la propria infrastruttura tranviaria per inseguire la visione di una ‘città adatta alle automobili’ – si legge nel documento ‘Environmental and Climate Protection in Freiburg’ elaborato dall’amministrazione comunale – Friburgo riscopriva il “Bädle”, decidendo nel 1972 di conservare la propria rete tranviaria – in funzione dal 1901 – e di espanderla. Attualmente, ci sono 71 tram che circolano in città su 5 differenti linee. «Quando progettiamo un nuovo distretto – raccontano con orgoglio in Municipio – prima realizziamo l’infrastruttura tramviaria, cosicché per alcuni anni il tram circola letteralmente in campagna, fino al completo sviluppo del nuovo quartiere».
Già nel 1982, il 61% degli spostamenti in città era fatto a piedi (35%), in bici (15%) o in tram (11%); nel 2016, la mobilità dolce e collettiva era ulteriormente cresciuta, con il 29% degli spostamenti fatti a piedi, il 34% in bici e il 16% in tram, con il risultato che meno di una persona ogni 4 utilizza un’automobile per muoversi nell’area urbana. Tuttavia – ricorda Fridays for Future in un documento indirizzato agli amministratori locali – «nell’ultimo decennio il numero dei veicoli che attraversano quotidianamente l’area urbana è aumentato del 25%». Una contraddizione solo apparente: se è vero che, in termini percentuali, l’uso dei veicoli a motore cala, è altrettanto vero che, a causa della crescita della popolazione, sono aumentate anche le automobili in circolazione. In uno studio del 2017, la Fondazione Baden-Württemberg ha sottolineato che l’unico modo per rendere la mobilità della regione Baden-Württemberg compatibile con gli obiettivi legati alla mitigazione del riscaldamento globale, è ridurre il numero di auto in circolazione e la distanza che percorrono. «A seconda degli studi – sottolinea Fridays for Future – questo significa che una percentuale tra il 60% e l’83% delle auto oggi in circolazione deve cedere il passo ad altri mezzi, mentre i restanti veicoli devono diventare neutrali dal punto di vista climatico».
Girando per la città appare chiaro che, pur non essendo il tram il mezzo principale usato dagli abitanti per spostarsi, l’infrastruttura rappresenta la spina dorsale di Friburgo, che dal centro cittadino si dirama verso le periferie su percorsi prevalentemente dedicati, e spesso verdi. Le corse sono frequenti, i semafori sono programmati per dare ai mezzi pubblici la precedenza e non interrompere la loro corsa, con il risultato che, sedendosi in vettura, si osservano con una certa soddisfazione le auto ferme in attesa di lasciar passare il mezzo pubblico. I binari sono spesso affiancati da larghe piste ciclabili o incastonati in ampie zone pedonali, presenti anche nei quartieri periferici e non solo nella città storica, e lungo il loro percorso si alternano aree urbane e spazi verdi, dando la sensazione di spostarsi da un villaggio all’altro e non all’interno di un’unica area metropolitana. «Funziona bene e siamo contenti di averlo – ci dice un’attivista – ma non posso salirci con la bicicletta, e questo è un problema quando piove o fa particolarmente freddo»; perché, come è noto, l’appetito vien mangiando, e le aspettative crescono al crescere dei servizi.
La bicicletta, come abbiamo visto dai dati, è la vera regina della mobilità cittadina. A qualunque ora del giorno, le strade sono affollate di ciclisti, che percorrono una delle ‘autostrade delle biciclette’ che collegano i quartieri al centro, oppure le corsie ciclabili presenti in gran parte delle strade urbane, laddove una pista riservata alle bici non sia disponibile. Rastrelliere e parcheggi sono presenti ovunque, sia nelle pertinenze private che negli spazi pubblici, e centinaia di bici affollano gli stalli di fronte ai principali edifici cittadini, come la biblioteca universitaria o il teatro. La stazione ospita un ampio parcheggio per le biciclette, collegato – come il tram – ai singoli binari ferroviari per garantire una rapida intermodalità tra diversi mezzi di trasporto. Eppure, i ciclisti non sono del tutto soddisfatti. «I percorsi ciclabili – ci raccontano – sono insufficienti rispetto al gran numero di bici in circolazione, e le piste sono troppo piccole. È necessario distribuire diversamente lo spazio pubblico, sottraendone alle automobili per darne di più a pedoni e ciclisti». Quella di coloro che si spostano pedalando è in città una ‘lobby’ potente, che si mobilita ogni mese con critical mass e che ‘attacca’ gli automobilisti che non rispettano gli spazi dei mezzi a due ruote con adesivi irriverenti e difficili da staccare dalla carrozzeria delle auto.
In bici o in tram si arriva comodamente anche a Vauban, ‘fiore all’occhiello’ della città. Vauban è un quartiere situato nella periferia ovest della città. Villaggio militare dell’esercito francese fino alla riunificazione della Germania, l’area è oggi la punta di diamante delle politiche finalizzate a ridurre i consumi energetici, sviluppare le fonti rinnovabili e promuovere stili di vita con una ridotta impronta ecologica. «Negli anni Novanta – ci raccontano in Municipio – in quest’area si è realizzata una straordinaria convergenza tra pianificazione dell’amministrazione comunale e spinta popolare». «L’amministrazione – dice invece un ricercatore dell’Università di Friburgo – inizialmente aveva pianificato di realizzare nell’area un quartiere per ricchi, ma nel vuoto creatosi tra l’abbandono delle strutture da parte dell’esercito francese e l’avvio della progettazione urbanistica, si sono inseriti tanti cittadini. Inizialmente, arrivarono persone con le ‘mobile-home’ che si ‘appropriarono’ dell’area che, al tempo, era chiusa. A loro si affiancarono altri cittadini e tanti studenti, spinti qui dalla carenza di spazi abitativi e dall’alto costo degli affitti. L’amministrazione era determinata nello sviluppare i propri piani, ma i nuovi abitanti sono stati più veloci ed efficaci: con l’aiuto di alcuni professionisti, hanno iniziato a pianificare una conversione sostenibile dell’area e, su questi primi progetti, sono riusciti a ottenere dei finanziamenti. Forti di questi successi, hanno messo sul tavolo dell’amministrazione questi punti di forza e il crescente consenso di cui godevano in città». Oggi, Vauban è un quartiere a suo modo pionieristico, con edifici in gran parte efficienti energeticamente, dotati di pannelli solari e collegati all’unica centrale termo-elettrica, che fornisce sia calore sia elettricità; la auto – che, come sottolinea un articolo della BBC, nel quartiere sono appena 172 ogni 1.000 abitanti, contro una media della città di 393, comunque inferiore alle 531 della vicina metropoli industriale di Stoccarda – circolano solo in poche strade, in cui il limite di velocità è di 30 km/h, e sono quasi tutte parcheggiate nell’edificio multipiano all’ingresso del quartiere, che è anche una centrale fotovoltaica. Scuole, spazi sociali e associativi ed esercizi commerciali di vicinato completano l’area, in modo tale che ogni servizio sia ‘a distanza di pedone’. È qui che i dipendenti dell’ufficio turistico della città indirizzano i visitatori interessati a queste tematiche, e nel distretto diverse agenzie organizzano tour guidati durante i quali presentare i punti di forza. «Certo – rispondono diversi attivisti ambientali quando gli si chiede un parere – che è un bel quartiere, una sorta di avanguardia nella transizione climatica. Ma l’amministrazione non ha adottato gli stessi standard per distretti progettati successivamente, e tante costruzioni e aree della città sono ancora energivore». Non tutti gli abitanti del distretto vivono qui perché ne condividono i principi che lo hanno fatto nascere. «La richiesta di appartamenti in questa zona – ci spiega il ricercatore universitario – è cresciuta negli anni, perché a Vauban si vive bene, e questo ha portato a una crescita dei prezzi delle case, che sono ora superiori al resto della città».
Ma cosa fa, in concreto, l’amministrazione comunale per supportare la transizione climatica? «Innanzitutto – ci spiegano in Municipio – regolamenta lo sviluppo urbano». Friburgo è una città tutt’ora in crescita, e l’amministrazione è impegnata nel pianificare la crescita del tessuto urbano. «Pensiamo innanzitutto alle connessioni, perché ogni parte della città sia facilmente fruibile attraverso il trasporto pubblico o con la biciletta». I regolamenti edilizi della città, inoltre, prevedono standard più stringenti di quelli nazionali, «ma questi si applicano solo sui terreni di proprietà comunale, che sono pochi, mentre nelle aree private vige la normativa nazionale. Per questo, l’amministrazione cerca di giungere ad accordi per acquisire i terreni o coinvolgere i privati nel rispettare gli standard comunali». Tuttavia, non è unanime la visione di un’amministrazione all’avanguardia nell’affrontare l’emergenza climatica. «Friburgo – dicono in Municipio, è una città ricca di associazioni e gruppi che si interessano a queste tematiche, con una grande sensibilità per gli aspetti ambientali e climatici della nostra quotidianità». Ed è proprio da queste realtà organizzate che giungono, con toni e sfumature differenti, le principali critiche. «Quel che la città sta facendo – affermano alcuni attivisti – ci pone in ogni caso ben al di là del grado e mezzo di crescita media della temperatura a cui la scienza ci dice di puntare, e il 2050 è una data troppo distante per la neutralità climatica». L’amministrazione, infatti, ha elaborato una propria strategia che ha l’obiettivo di rendere Friburgo neutrale entro il 2050, ma non ha dichiarato l’emergenza climatica, come invece hanno fatto altre città tedesche sulla spinta delle mobilitazioni giovanili. «Dichiarare lo stato d’emergenza – affermano in Municipio – significherebbe poter derogare alle leggi per affrontare la crisi; ma, derogando le leggi, altri diritti sarebbero violati in nome della crisi climatica: noi abbiamo già, da decenni, una nostra strategia e sappiamo come arrivare alla neutralità climatica: perché dovremmo farlo non applicando altre leggi che ci siamo dati?». Alcuni attivisti reagiscono con stupore a queste affermazioni: «siamo ben consapevoli – dicono – che dobbiamo parlare di giustizia climatica, includendo in questo concetto le tante sfere della nostra quotidianità, ma l’emergenza è un dato di fatto che ci lascia pochi anni per agire e che ha bisogno di interventi straordinari e urgenti: se non la affrontiamo, nessun altro diritto potrà essere tutelato».
Parole d’ordine che riecheggiano anche nel corteo di Fridays for Future e Students for Future (gli studenti universitari) dove, tra gli slogan dedicati alla giustizia climatica, trovano spazi anche quelli che chiedono più democrazia, politiche contro la povertà, la solidarietà tra i popoli e la fine di confini e frontiere. Al posto della dichiarazione d’emergenza climatica, il consiglio comunale ha approvato nel 2019 un ‘Manifesto per la protezione del clima e delle specie’. Il documento, che ricorda che le emissioni, comparate al 1992, sono già state tagliate del 37,2% pro-capite, esplicita una serie di impegni politici per l’amministrazione comunale e chiede agli altri livelli istituzionali – il Länd, il Governo Federale, l’Unione Europea, ma anche le altre città – di seguire il modello di Friburgo predisponendo misure chiare e ambiziose in grado di mitigare il cambiamento climatico e proteggere la biodiversità. Molti, in città, sono scettici: «parole belle e condivisibili – dicono attivisti ma anche professionisti e dipendenti di ONG – ma questo è il tempo delle azioni: è sul pragmatismo che vogliamo misurare l’amministrazione comunale».
In questi giorni, queste contraddizioni trovano il loro punto di caduta sullo sviluppo del nuovo distretto di Dieterbach. Qui, infatti, l’amministrazione comunale intende realizzare una nuova area residenziale per dare risposta alla crescente pressione demografica. Il progetto – approvato dal 60% dei cittadini di Friburgo attraverso un referendum – prevede la costruzione di 6.900 nuovi appartamenti – gran parte dei quali di edilizia residenziale con canoni calmierati – capaci di ospitare 16 mila persone. “Dietenbach – scrive il Comune nel proprio sito-web istituzionale – diventerà un quartiere climaticamente neutro, con scuole, impianti sportivi, asili nido ed esercizi commerciali raggiungibili dagli abitanti a piedi o in bici”. Nella pianificazione, l’amministrazione comunale ha chiesto a tecnici ed esperti di elaborare una visione energetica complessiva, che include la progettazione di edifici ad alta efficienza energetica, l’installazione di impianti fotovoltaici su tetti e facciate, l’uso dell’idrogeno per immagazzinare l’energia inutilizzata prodotta dalle fonti rinnovabili e alimentare l’industria e i mezzi di trasporto, lo sfruttamento del calore di scarto prodotto localmente dalle attività produttive per riscaldare le abitazioni. Per dare ai progettisti delle linee guida condivise dalla comunità, è stato coinvolto un gruppo di cittadini selezionati attraverso un sorteggio casuale, i quali – dopo un processo formativo e partecipativo – hanno indicato nella sostenibilità, nell’inclusività e nell’attenzione al sociale i cardini sui quali sviluppare il nuovo quartiere.
Anche questo progetto, tuttavia, non è esente da critiche: le realtà ambientaliste cittadine, infatti, hanno sottolineato diverse zone d’ombra nella progettazione, mentre alcuni principi non sono chiaramente tradotti in azioni conseguenti. A sollevare dubbi sono, in particolare, l’utilizzo dell’idrogeno, che non darebbe sufficienti garanzie di sostenibilità, e gli standard proposti per la costruzione degli edifici, che secondo alcuni dovrebbero essere più elevati. In un position paper, la sezione cittadina di Fridays for Future ha sottolineato l’importanza che la gara d’appalto non preveda criteri esclusivamente economici, che le emissioni generate dai cantieri siano contabilizzate nella visione di distretto ‘climate-neutral’ e compensate, che ci sia una progettazione capace di prevedere sia il riscaldamento sia il raffrescamento degli edifici attraverso una centrale termica unica, e che non sia possibile, per chi vivrà nel quartiere, staccarsi da essa per realizzare i propri impianti. Nel documento, inoltre, si sottolinea l’importanza “di garantire aree verdi nel quartiere e di preservare la vegetazione esistente, perché il nodo non è il numero di alberi presenti, ma la preservazione degli ecosistemi, della biodiversità e delle piante adulte”.
L’amministrazione comunale, in ogni caso, non si limita agli aspetti regolatori dello sviluppo urbano. «Cerchiamo di favorire la transizione con diverse azioni e molti investimenti», dicono in Municipio. L’azienda Badenova – l’utility regionale che fornisce gestisce il servizio idrico e le forniture energetiche – paga al Comune tributi per l’uso delle infrastrutture cittadine. Si tratta, più o meno, di dodici milioni di euro all’anno: «in questi anni abbiamo investito il 50% di queste entrate in politiche per la transizione climatica, e dal 2022 useremo il 100% di queste risorse per questi scopi». Inoltre, il Comune investe nell’efficienza energetica degli edifici di proprietà pubblica. Gli esempi più citati sono il Municipio e lo stadio di calcio: il primo produce – grazie a un’ampia superficie fotovoltaica – più energia all’anno di quanta ne consumi per illuminare, ventilare riscaldare e raffreddare l’edificio, è stato premiato nel 2018 dalla ‘German Society for Sustainable Building’ e dalla ‘Deutscher Nachhaltigkeitspreis Foundation’ per l’implementazione di standard architettonici ecologici ed è il primo edificio pubblico al mondo con queste caratteristiche; il secondo è invece a oggi soltanto un progetto, che l’amministrazione vuole realizzare, con l’obiettivo di fare dell’impianto sportivo il primo stadio ‘carbon-neutral’ della Germania grazie a un grande impianto fotovoltaico.
Inoltre, il Comune ha un ruolo attivo nel sensibilizzare i cittadini su queste tematiche. «In collaborazione con ONG private – ci spiegano – facciamo attività di informazione e offriamo consulenza per l’efficienza energetica degli edifici e l’uso di energie rinnovabili». Una delle iniziative promosse sono le ‘Energy caravans’, alla cui presentazione in piazza hanno partecipato anche dei dromedari dello zoo cittadino; «ci siamo resi conto – ci hanno spiegato dall’associazione che le realizza – che, se offri un servizio di consulenza, pochi cittadini lo sfruttano. Così, abbiamo deciso di essere noi ad andare da loro, offrendo consulenze gratuite su temi energetici. In questo modo i risultati migliorano: il 25% delle persone a cui è stata offerta una consulenza l’ha accettata e, tra queste, il 60% delle persone coinvolte ha poi deciso di migliorare le prestazioni energetiche della propria abitazione».
Infine, c’è il tema della partecipazione. «Abbiamo un tessuto sociale molto attivo», si vantano in città. I processi partecipativi, tuttavia, non sono istituzionalizzati, ma «dipendono da progetto a progetto», e l’amministrazione ha ritenuto troppo difficile da gestire un’assemblea cittadina; «ma abbiamo creato quattro gruppi di lavoro tematici attraverso un campionamento causale – ci dicono – e stiamo sperimentando questa formula». Dall’altra parte ci sono gli attivisti, che riconoscono all’amministrazione la capacità di comunicare con i cittadini, ma ritengono «che troppi pochi saperi siano coinvolti nei processi decisionali decisivi per il futuro della città».
In fondo, Friburgo sembra essere allo stesso tempo una città-modello e una città come le altre; modello nell’aver affrontato anzitempo alcune contraddizioni, trovando soluzioni che ora possono rappresentare per altre città un patrimonio di conoscenze ed esperienze al quale attingere. Come le altre, perché vive le stesse conflittualità sociali, pur partendo da uno stato dell’arte diverso; e perché dimostra, attraverso la sua storia, che le scelte innovative non sono mai soltanto il frutto di un’amministrazione politica illuminata, ma sono sempre il risultato della tensione tra le spinte sociali e le pratiche amministrative. Sta quindi ai cittadini di Friburgo – e ai tanti giovani che la animano – creare ancora una volta le condizioni per far fare alla città dei passi avanti: perché ogni conquista non è mai definitiva, e ogni innovazione può restare un prototipo interessante o diventare una pratica diffusa.