Doveva essere il vertice cruciale per dare seguito agli impegni presi a Parigi nel 2015 per la lotta ai cambiamenti climatici. Ma come spesso accade con questo tipo di incontri internazionali ormai da decenni, è difficile non parlare di delusione rispetto alle aspettative, quest’anno molto alte visto l’incalzare di eventi estremi in diverse regioni del pianeta.
Da un lato i leader di quasi 200 paesi del pianeta hanno riaffermato l’impegno già sancito al G20 di Roma di fine ottobre di mantenere il surriscaldamento medio del pianeta a 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, una sfida enorme se si pensa che ci siamo già giocati 1,1 gradi. La ventiseiesima conferenza delle parti alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite – nota con l’acronimo COP26 – ha anche riconosciuto, come richiesto dalla comunità scientifica internazionale, che per limitare in questo modo l’aumento della temperatura serve ridurre di ben il 45 per cento le emissioni di anidride carbonica entro il 2030, in soli 9 anni quindi, e di annullarle per la metà del secolo. Su questa seconda data si è andati un po’ in ordine sparso, con i paesi ad economia avanzata pronti dal 2050, la Cina e la Russia al 2060 e l’India solo al 2070.
Allo stesso tempo il vertice sul clima ha sdoganato il concetto del “net-zero”, ossia dell’azzeramento delle emissioni “nette” al 2050. Ciò significa che alcuni paesi, ma anche alcune grandi imprese o istituzioni finanziarie internazionali, potranno continuare a usare o finanziare combustibili fossili e quindi emettere anidride carbonica compensandola con progetti di presunto assorbimento del gas inquinante, di protezione delle foreste a rischio di distruzione o di riforestazione per assorbire appunto l’eccesso di CO2. Una pratica considerata da molti ancora non affidabile a livello tecnologico o fattibile su grande scala, come nel caso del sequestro e della cattura di anidride carbonica, o dubbia per quel che riguarda gli assorbimenti naturali. Gran parte della società civile, ma anche i paesi più impattati già oggi dai cambiamenti climatici come le piccole isole del Pacifico, chiedevano un vero azzeramento, senza scappatoie, perché timorosi che con giochi contabili i principali inquinatori potrebbero farla franca ancora per molto ed eludere gli impegni di riduzione.
Questo articolo è stato scritto da Antonio Tricarico per Re:Common: leggi l’articolo completo sul sito di Re:Common. Foto Luca Manes/ReCommon