Pubblichiamo il testo condiviso dall’assemblea cittadina verso il Climate Pride che si è svolta il 27 marzo a VAG61 e che lancia una sfida collettiva alla città: immaginare nella grande area dell’ormai ex Ippodromo dell’Arcoveggio una foresta delle ecologie urbane, dove costruire pratiche di riappropriazione dello spazio pubblico e di transizione ecologica dal basso.
Fare la foresta delle ecologie urbane
Bologna, la crisi climatica è qui e ora. Ma, collettivamente, vogliamo costruire ecologie urbane.
Negli ultimi anni, i territori che viviamo hanno subito ripetute alluvioni: ogni volta che le previsioni indicano pioggia, decine di migliaia di persone non dormono per il timore di rivedere le proprie case allagate. Vite perse, danni per miliardi di euro, luoghi irriconoscibili. Le piogge più copiose si alternano alla siccità, che mette a rischio le colture e l’equilibrio del sistema idrico. Le estati, invece, sono sempre più roventi, e nella foresta di cemento l’effetto isola di calore rende invivibili i nostri quartieri.
Il ‘Green Deal’ europeo, con il quale la Commissione Europea aveva promesso di fare del Vecchio Continente l’esempio virtuoso della transizione energetica, è sepolto sotto il peso minaccioso della corsa agli armamenti, mentre l’ambizione di Bologna ad essere esempio luminare nelle politiche ecologiche è schiacciato dal consumo di suolo e dalla testardaggine di voler perpetuare investimenti plurimiliardari in grandi opere come l’allargamento delle autostrade. Non esiste all’orizzonte alcuna ‘transizione dall’alto’, guidata da istituzioni internazionali o locali, capace di migliorare le nostre vite, di aprire spazi di concretezza alle ecologie urbane.

Desigillare, forestare: sono verbi che stanno iniziando a risuonare in tutto il mondo e che vogliamo coniugare anche nello spazio urbano di Bologna per costruire transizioni ecologiche dal basso. Perché nelle aree fortemente cementificate la temperatura può aumentare anche di 3-5°C rispetto alle aree circostanti, rendendo la calura estiva insopportabile per le persone più fragili e per coloro che non hanno gli strumenti economici per difendersi in altro modo dall’innalzamento delle temperature. Perché, secondo le stime, per ogni 1.000 mq di superficie depavimentata, potrebbero essere assorbiti ogni anno circa 1 milione di litri d’acqua, riducendo il deflusso e filtrando gli inquinanti.
In una terra in cui l’alluvione sembrerebbe un destino incontrollabile, vogliamo aprire spazi di futuro. Non solo è tempo di porre fine ai grandi progetti infrastrutturali – come l’allargamento delle autostrade – che impermeabilizzano terreno e rendono più fragile il sistema idrogeologico, ma è giunto il momento di costruire pratiche concrete per fare spazio al suolo e alle acque, alla vegetazione e alle persone. Lo spazio pubblico è stato per decenni limitato, confinato, recintato, per fare posto a parcheggi, speculazioni edilizie, strade, aree commerciali e poli logistici.
Fare spazio alle ecologie urbane significa, per dirla con il collettivo di fabbrica ex GKN, costruire una visione socialmente integrata dell’urbano. Dove praticare la transizione ecologica è un processo collettivo e dal basso che si fa strada tra le macerie lasciate dalla fallimentare ‘transizione dall’alto’. E lo fa attraverso pratiche che costruiscono relazioni ecologiche, capaci di trovare i nessi che parlano delle complessità di cui sono ricche le nostre quotidianità: perché una visione ecologica non guarda soltanto alle aree verdi, ma si pone il problema del diritto all’abitare, della tutela della salute, della dignità del lavoro, della qualità del tempo libero. Perché non basta frenare la corsa al rialzo delle temperature medie, ma occorre affermare giustizia climatica.
Per costruire pratiche ecologiche dal basso, è necessario riaprire una contesa sullo spazio pubblico. Che deve – anche – essere luogo in cui sperimentare, provare, costruire, socializzare, condividere, realizzare. Pensiamo che a Bologna debbano nascere tanti nuovi spazi delle ecologie urbane, dove desigillare, forestare, ibridare i saperi, reimmaginare le nostre relazioni con e nello spazio pubblico.

Per questo, il Climate Pride del 12 aprile lancia una sfida pubblica alla città: l’ormai ex Ippodromo dell’Arcoveggio, dove la concessione dell’attuale gestore scade tra poche settimane, è una grande area che si libera, all’interno di un grande quartiere residenziale ricco di potenzialità e contraddizioni, con un tessuto collettivo che esprime progettualità e proposta sociale. Abbiamo un sogno collettivo possibile: fare dell’ex Ippodromo una grande foresta urbana, un grande common aperto e collettivo dove praticare ecologie urbane.
Questo presente non è il nostro futuro: il galeone di persone che attraverserà gli spazi urbani di Bologna nel Climate Pride del 12 aprile, costruito negli ultimi mesi durante una pluralità di incontri, riunioni, assemblee, iniziative, è pronto per questa avventura collettiva. Il 12 aprile vogliamo solcare l’oceano di asfalto con vele che si fanno striscioni e una rotta verso altrove possibili, per rilanciare pubblicamente questo immaginario con l’ambizione di iniziare a fargli toccare terra.
Sous les pavés, la plage: costruiamo ecologie urbane, riprendiamoci la città!
Assemblea del Climate Pride – Bologna