Nell’esprimere la nostra solidarietà all’attivista di Extinction Rebellion che ha denunciato gli abusi subiti all’interno della Questura di Bologna (qui il comunicato di XR che lo racconta), e a coloro che sono state denunciate per un’iniziativa dimostrativa, non possiamo non notare la cappa opprimente che, negli ultimi mesi, aleggia su Bologna. E non ci riferiamo alle temperature alte e all’afa che in questi giorni rende il caldo difficilmente sopportabile, ma al clima costruito intorno a chiunque esprima dissenso.
Negli ultimi mesi abbiamo più volte dovuto assistere agli eccessi dello Stato: cariche selvagge contro chi si arrampica su un albero per difendere un bosco, violenze notturne contro giovani attivisti, decine di misure cautelari e divieti di dimora contro coloro che si impegnano per garantire il diritto alla casa, attacchi verso le tante e i tanti che esprimono indignazione per il genocidio in corso in Palestina. Mentre il riscaldamento globale fa sentire le sue conseguenze con alluvioni e ondate di calore, il governo promuove leggi per mettere dietro alle sbarre chi si oppone alla cementificazione di tanti territori, e a Bologna fa vedere il suo volto più cattivo e – come hanno raccontato le attiviste di XR – umiliante.
In questo clima, il sindaco afferma che chi blocca il taglio di un albero si assume le sue responsabilità, negli stessi minuti in cui centinaia di bolognesi venivano picchiati – come documentato dai video – perché provavano a fermare l’abbattimento di alcune piante. E, dopo l’iniziativa comunicativa di Extinction Rebellion di martedì scorso, un quotidiano locale – Il Resto del Carlino – titola ‘Protesta degli ecovandali a Bologna: denunce in serie’. Una cappa di rancore appiccicosa e fastidiosa che ci racconta la crescente militarizzazione – anche politica e culturale, oltre che pratica – della vita sociale.
Calare degli striscioni da palazzi simbolo di una città, arrampicarsi su un albero, occupare una casa, bloccare i crocevia della mobilità: questi, e altri, sono tutti repertori di protesta che hanno una lunga storia, e sono parte di una dialettica conflittuale legittima attraverso la quale i movimenti sociali costruiscono rivendicazioni e processi collettivi, danno visibilità alle proprie istanze e ai propri percorsi, rendendo vivo, inclusivo e plurale il tessuto urbano.
L’arroganza con la quale si sorvola sulle violenze e sugli abusi subiti da chi dedica le proprie energie e il proprio tempo a costruire pratiche sociali collettive contro ingiustizie e devastazioni è fastidiosa quanto le violenze stesse. Senza far di tutta l’erba un fascio, segnala una decadenza politica che attraversa trasversalmente una parte delle stanze istituzionali e delle redazioni dei mezzi d’informazione, delle segreterie di partito e delle sedi sindacali, e che tradisce la storia di questa città. Che, nei decenni passati, ne ha viste delle belle, e su queste vicende ha costruito le fondamenta della sua tanto lodata alterità.
Va da sé, quindi, che più che le pratiche, il problema siano i contenuti; denunciare la crisi climatica e il ruolo della governance internazionale, il genocidio in corso in Palestina e la complicità di tanti governi europei, la cementificazione dei territori che poi provoca catastrofi, l’ingiustizia del non avere una casa: state dalla parte di coloro che qualcuno chiama ‘vandali’, o con l’impero che sfoggia il manganello?