A pochi giorni dal voto amministrativo con il quale si sceglierà la/il prossima/o Sindaco di Bologna, vogliamo provare ad allungare lo sguardo oltre l’urna, per contribuire a una riflessione sulle prospettive che attendono la nostra città e proporre alcune chiavi di lettura e alcuni spunti.
In queste settimane di campagna elettorale, ci pare di aver capito due cose: che la transizione climatica è diventata ormai un tema ineludibile per chi si propone di governare; e che l’ideologia dello sviluppo, secondo cui per vivere meglio dovremmo comunque far crescere i profitti, ha ben poche voci contrarie tra coloro che ci chiedono di scrivere il loro cognome sulla scheda elettorale.
A Bologna, questa contraddizione è esplicitata dal passante autostradale. Se la transizione climatica è l’urgenza – e noi pensiamo sia così – ci sembra chiaro che il modello economico e sociale che fonda la propria esistenza sullo sfruttamento senza limiti di risorse e di suolo e sullo spostamento continuo e insensato di merci e persone vada messo in discussione; e che tutto quello che comunque si muove nel territorio dovrà farlo sempre meno con auto private e tir che, oltre a produrre inquinamento e consumare una quantità esorbitante di risorse, occupano gran parte del nostro spazio pubblico.
Di qui un assunto semplice: l’allargamento del passante pregiudica l’idea che Bologna possa essere tra le città che guideranno la transizione climatica.
Non pensiamo, ovviamente, che il passante sia l’unica questione sul tavolo. Eppure, è oggi la questione, perché rappresenta metaforicamente il modello economico e sociale verso il quale tendere.
Il punto è che, per costruire un futuro in cui vivremo meglio noi e le prossime generazioni, dobbiamo uscire dalla scatola nel quale per decenni hanno provato a chiudere i nostri pensieri. Non è vero che la qualità della vita la fanno la velocità con cui si spostano merci e persone, l’auto di proprietà e una strada su cui farla sfrecciare, o la ‘libertà’ di mettersi in coda su una lingua d’asfalto. Proprio la pandemia, che ha sconvolto la nostra quotidianità, ci ha insegnato il valore dello spostarsi lentamente, dell’avere dei parchi in cui passeggiare e dello spazio all’aperto dove incontrarci; dell’importanza della qualità dell’aria e dell’attenzione che dobbiamo porre alla nostra salute.
Il tema, quindi, non è tecnologico o progettuale, anche se riconosciamo alla tecnologia e alla ricerca la potenzialità di migliorare le nostre giornate. La questione, qui, è politica e sociale: noi pensiamo che l’inganno del ‘lavorare per comparsi l’auto per andare a lavorare’ sia ormai svelato. Una città progressista è quella che trova le soluzioni per dare spazio alle persone e alla loro quotidianità, costruendo percorsi sociali capaci di mettere in discussione l’idea che non possa esserci vita senza inquinare; non quella che subordina ancora le nostre vite a un sistema economico che ci lascia solo una piccola parte della ricchezza prodotta, sfruttando e devastando il luogo in cui viviamo. Il futuro del pianeta val bene la crescita del PIL, perché possiamo vivere bene anche se il corriere non ci consegnerà l’articolo che abbiamo ordinato poche ore dopo il nostro click in un sito web e se l’industria fossile non vedrà crescere ancora il proprio fatturato.
Tutto ciò ha trovato ben poco spazio nella campagna elettorale. Non ne siamo sorpresi. Ma pensiamo che il futuro abbia bisogno di parole, scelte e pratiche diverse. Non è vero, per esempio, che ‘il passante si farà comunque’; il passante si farà se sarà approvato: è una responsabilità, non una predestinazione. E si farà se glielo lasceremo fare, se nessuno vorrà opporsi alla cementificazione del territorio, se Bologna sceglierà di avere un futuro ancora una volta dominato da automobili, mezzi pesanti, traffico e tumori connessi.
La transizione climatica non uscirà dall’urna. Più che al 3 e al 4 ottobre, dunque, noi guardiamo al 23 ottobre quando, grazie alla Rete delle Lotte Ambientali Bolognesi, idee e soluzioni per affrontare il riscaldamento globale torneranno in piazza. La nostra città ha bisogno di un movimento climatico capace di far crescere la consapevolezza e il conflitto ambientale: ‘Bologna la dotta’ può certamente darci idee, innovazioni e strumenti per migliorare i nostri quartieri e le nostre infrastrutture, ma è pur sempre la Bologna delle e dei cittadine/i a dover immaginare, rivendicare e costruire il proprio futuro.