Se per mesi non abbiamo visto una goccia d’acqua, nelle ultime 48 ore sulla città metropolitana di Bologna e su altre aree dell’Emilia Romagna ci sono state precipitazioni pari a quelle che dovrebbero essere registrate in tre/quattro mesi. Il territorio non ha retto, e purtroppo alla conta dei danni si è aggiunta quella dei lutti, mentre molte strade sono interrotte da frane e allagamenti. In città, il torrente Ravone – che attraversa Bologna sotto terra, tombinato – ha sfondato cemento e asfalto in via Saffi a causa della pressione prodotta dall’acqua.
L’assessora regionale Priolo afferma che si tratta di eventi con un tempo di ritorno di oltre cent’anni, ma per ricercatrici e ricercatori, che dati e modelli li studiano ogni giorno, quelli a cui abbiamo assistito in queste ore sono fenomeni che si registrano con una frequenza crescente dovuta alla crisi climatica. Lunghi periodi di siccità intervallati da precipitazioni copiose concentrate in poche ore e in territori limitati non sono un possibile futuro apocalittico, ma un presente che le/gli espert* avevano previsto anni fa. E no, quella a cui abbiamo assistito in questi giorni non è sfiga, ma responsabilità politica.
Infatti, questa perturbazione non è un’amara sorpresa. Non ci siamo svegliat* stamattina scoprendo la potenza dell’acqua, né abbiamo imparato oggi che i cambiamenti climatici sono già in atto e che stanno alterando le dinamiche meteorologiche anche nelle terre che abitiamo. Gli studi scientifici e i modelli predittivi raccontano da molti anni la realtà che oggi viviamo e che continueremo a vivere nei prossimi decenni, e chi governa – a livello locale, regionale, nazionale e internazionale – è a conoscenza di queste dinamiche. I piagnistei e la solidarietà alle persone colpite lasciano il tempo che trovano, perché sul terreno, oltre all’acqua, resta la responsabilità di chi, nonostante avesse tutti gli strumenti conoscitivi per sapere, ha deciso di rendere sempre più debole il territorio che viviamo.
Tra l’altro, nella stessa giornata in cui è stata decretata l’allerta rossa per rischio idrogeologico, i vigili del fuoco sono stati impegnati dalle autorità per sgomberare l’occupazione contro il progetto di allargamento del Passante di Mezzo in via Agucchi, invece che per prestare soccorso a coloro che nelle stesse ore venivano travolti dalle acque: quella di oggi 3 maggio non è soltanto la triste metafora della città che vuol guidare la transizione ecologica in Europa facendo di un’autostrada la propria opera simbolo, ma è anche la rappresentazione di come intende affrontare a livello locale la crisi climatica chi sceglie di asfaltare il territorio pur conoscendo le conseguenze che queste scelte hanno per l’area urbana di Bologna e la sua campagna. Fate silenzio voi che osate protestare perché, passata la piena, s’ha da investire.
Nel frattempo, la pioggia e la chiusura di via Saffi hanno letteralmente bloccato la città per due giorni, con migliaia di cittadin* costrett* a ore di code nella propria automobile. A causa del traffico, anche muoversi con i mezzi pubblici – per chi è riuscit* a salirci – è diventato un calvario, mentre usare la bicicletta in mezzo a migliaia di scatole di metallo rombanti una vera e propria roulette russa.
Si dirà che è colpa di chi ha scelto di spostarsi in auto nonostante gli appelli dell’amministrazione comunale, ma l’efficacia di un sistema di mobilità urbano si vede nei momenti di crisi. E, a Bologna, quel sistema ha dimostrato ancora una volta di non essere all’altezza di una città che fa tanti proclami, ma non ha il coraggio e l’audacia di sfidare se stessa. Qualche mese fa abbiamo scritto che vogliamo i viali a senso unico; non è una provocazione: la lezione che insegnano tante città europee – dove, tra l’altro, piove molto più frequentemente che a Bologna – dice che incentivi, bonus e corsie ciclabili non bastano se non si sceglie cambiare strutturalmente volto alla città liberando il tessuto urbano dalle automobili per fare spazio ad altre forme di mobilità e socialità. Ma a Bologna si allargano autostrade, tangenziali, bretelle e bretelline, lasciando intendere che, nella ‘Motor Valley’, la mobilità privata motorizzata ha e avrà sempre un posto in prima fila.
Viviamo una città che quando c’è il sole è un grande parcheggio d’asfalto a cielo aperto, e quando piove è un girone infernale. Mentre il territorio è abbandonato a se stesso, si investono miliardi di euro in opere che lo devastano e lo impermealizzano. Nella crisi climatica non c’è più spazio per il business as usual, e chi lo sostiene, scegliendo di cementificare ancora il territorio per rincorrere profitti per pochi, se ne assume la responsabilità: non soltanto quella di contraddire decenni di report e studi scientifici, ma anche quella delle conseguenze di eventi drammatici come quelli vissuti in queste ore. Smettetela, dunque, di piangere inutili parole di solidarietà, perché le vostre lacrime di coccodrillo generano alluvioni.