Dopo una giornata a spalare fango scriviamo queste poche righe su quanto sta avvenendo nei territori che viviamo. Lo facciamo con la rabbia di chi è stanca/o – ma non rassegnata/o – di dover lavare ogni volta il fango dai propri vestiti. Di vedere libri, oggetti, ricordi ammassati tra i rifiuti. E, soprattutto, di vedere vite perse nell’alluvione.
Nella nostra regione spalare melma sembra essere diventato un rituale. Qualcuno, nelle prime pagine dei giornali, scriverà ancora una volta che per fortuna sono arrivati gli angeli del fango. Ma non c’è nulla di angelico a sguazzare nella melma rischiando di farsi male, e questa ennesima catastrofe è anche il momento di affermare che non c’è più tempo per le parole.
Ha piovuto tanto, certo, e in poco tempo. È esattamente quanto ci hanno preannunciato da anni coloro che studiano il cambiamento climatico. È ciò che succede, e succederà, con sempre maggiore frequenza. E i territori che viviamo non sono in grado di sopportare tutta quest’acqua. Perché si è costruito, troppo e ovunque, e – nonostante due anni di alluvione permanente – si continua a farlo. In questo weekend, nel quale è toccato a Bologna finire sott’acqua, ci sono tante valli collinari devastate, mentre l’Appennino frana e tante famiglie sono isolate.
Eppure, al governo nazionale c’è chi ancora afferma che affrontare il cambiamento climatico non può significare mettere in discussione quel che loro chiamano ‘sviluppo’. Insomma, è una questione di pilla, denaro, profitti. E, in fondo, hanno ragione. È una questione di soldi. Quelli che chi governa si ostina da anni a investire, a livello nazionale così come a livello locale, in grandi opere: per cementificare e rendere più fragile il territorio le risorse non mancano. Invece, per le infrastrutture ecologiche indispensabili per sostenere le conseguenze del cambiamento climatico, i fondi non ci sono; così come non ci sono quelli per risarcire le famiglie che, nelle svariate alluvioni che hanno attraversato l’Italia da nord a sud, hanno perso tutto.
In una delle regioni più cementificate e inquinate d’Europa, abbiamo strade mezze franate, torrenti senza sfogo, abbandono dei territori. Ma, soprattutto, non abbiamo alcun piano straordinario per riprogettare i luoghi che viviamo. I crinali appenninici così come le città. Ancora una volta, non c’è nulla da scoprire, ma tanto da imparare: a Malmö, per esempio, un intero quartiere – Augustenborg – è stato ripensato per affrontare le alluvioni, con aree ricreative che, quando piove tanto, diventano spazi capaci di accogliere acqua e dare sfogo alla sua forza. Lo vogliamo fare nelle nostre città?
Oggi è il giorno della catastrofe. L’ennesimo. I prossimi devono diventare quelli della cura del territorio. Smettendo di cementificare, desigillando quanto più suolo possibile e creando spazi adeguati per l’acqua. Va ripensata la città; e va riscoperto l’Appennino. Che ce ne facciamo, per esempio, di un’autostrada di 18 corsie, quando l’acqua ci porta via tutto? Quali sono le priorità? È a queste domande che, oggi, bisogna rispondere. Investendo tutte le risorse disponibili per realizzare le infrastrutture ecologiche indispensabili per vivere i nostri territori al tempo della crisi climatica. Ora.