In questi giorni abbiamo seguito le cronache dal borgo di Lützerath, in Germania, dove migliaia di attiviste/i si oppongono alla distruzione del villaggio dovuta all’allargamento della miniera a cielo aperto di lignite gestita dal colosso RWE. Abbiamo visto la determinazione di tante/i giovani nel difendere quell’angolo d’Europa dalla devastazione prodotta dall’estrattivismo, e la violenza della polizia, schierata in forze per consentire alle gigantesche escavatrici di procedere nella propria opera di distruzione.
Come ha scritto Recommon, abbiamo assistito “all’occupazione massiccia di un territorio, quello della Renania Settentrionale-Vestfalia, da parte di RWE la quale […], grazie all’accordo dell’autunno scorso tra governo federale e multinazionale, ha portato a casa l’espansione della miniera di Garzweiler e la combustione di maggiori quantità di carbone. Industria carbonifera che, in quella fertile regione, significa anche attacco all’agricoltura familiare e alla sovranità alimentare”. E abbiamo visto, ancora una volta, i governi al servizio delle multinazionali fossili, con l’uso di manganelli, idranti, spray urticanti contro attiviste/i che avevano costruito case sugli alberi e tunnel per resistere allo sgombero.
La crisi climatica è ormai parte della nostra quotidianità, e si susseguono gli appelli della comunità scientifica internazionale per scelte determinate e radicali, che fermino l’uso di fonti fossili, il consumo di suolo e la devastazione ambientale. Appelli che trovano riscontro nei documenti ufficiali delle istituzioni, a partire da quelle europee che non perdono occasione per indicare il Vecchio Continente come quello che dovrebbe guidare la transizione climatica. Eppure, gli stessi Stati che in Europa vorrebbero vantare un ruolo di primo piano in queste traiettorie, sono quelli che giustificano l’espansione dell’estrattivismo e continuano a garantire i profitti legati ai combustibili fossili e gli investimenti dei grandi istituti finanziari in questo settore.
Dalla Germania all’Emilia-Romagna, è una storia che si ripete: quando c’è da ancorare un rigassificatore di fronte alla costa, autorizzare nuove trivellazioni, approvare nuovo asfalto e garantire che gli investimenti fatti sulle fonti fossili siano remunerativi, là c’è un governo locale, regionale o nazionale pronto a fare scudo alle grandi multinazionali, approvando progetti devastanti, concedendo deroghe e cercando espedienti per dare una pennellata di verde a queste scelte.
Per questo, nonostante tutto, la resistenza di migliaia di persone a Lützerath è stata importante. Segnala che esiste, in Europa, una crescente mobilitazione per fermare la devastazione senza scrupoli prodotta da chi non accetta limiti all’accumulazione di ricchezza; racconta, ancora una volta, il legame tra crisi climatica e scelte istituzionali che, nonostante le belle dichiarazioni, continuano a essere al servizio delle multinazionali e della finanza fossile. Ci dice che esiste una sola strada per costruire giustizia sociale e climatica: cambiare sistema; perché, fino a quando continueranno a esserci diseguaglianze, ci saranno multinazionali pronte a tutto pur di distribuire dividenti tra i propri potenti investitori: anche a demolire la nostra casa, che sia essa un borgo o il Pianeta intero.