A Bologna sembra essere arrivata una timida primavera. Non solo quella metereologica, con temperature miti e il sole che si alterna alle nuvole, anche se di pioggia se ne vede (troppo) poca. Ma anche quella sociale, con iniziative che rendono fitta l’agenda politica della città.
Da una parte, assistiamo a una nuova fase della mobilitazione contro l’allargamento del Passante di Mezzo, con un fiorire di azioni e manifestazioni promosse da realtà diverse, che attraversano i quartieri nord della città e il centro: ultima, in ordine di tempo, la spentolata rumorosa promossa dalle realtà ecologiste in Piazza Maggiore, dopo la vicenda dell’abbattimento di ‘Albero Lepore’ e ‘Albero Bonaccini’, colpevoli di chiedere a gran voce una Valutazione di Impatto Sanitario sull’infrastruttura.
Dall’altra, sbocciano nuove occupazioni, capaci di mettere al centro del dibattito politico alcune delle questioni che, lo scorso autunno, hanno caratterizzato il percorso di convergenza verso la grande manifestazione del 22 ottobre.
Ha iniziato, dieci giorni fa, Vivaia TFQ, spazio transfemminist* “gestito da donne, frocie, persone queer transfemministe” che vuole “rigettare i dettami del sistema eterocispatriarcale”.
Poi, la settimana scorsa, è nato il Muro di Via Agucchi, dove “creature hanno occupato sulla devastazione del Passante di Mezzo” un terreno destinato all’esproprio per l’allargamento dell’infrastruttura stradale, e al cui interno domenica si è svolto il mercato di Genuino Clandestino, con incontri e attività che hanno visto partecipare centinaia di persone.
Infine, in queste ore, ci è arrivata la notizia del nuovo condominio sociale Radical Housing Project, in Bolognina, che vuole rilanciare “percorsi di lotta sul terreno del diritto all’abitare” sperimentando “modelli abitativi alternativi che reclamano il diritto alla città”.
(continua dopo la galleria fotografica)
Sono, quelle nate in queste settimane, occupazioni che parlano dell’altrove possibile, in un contesto locale, nazionale e internazionale nel quale le molteplici crisi che stiamo vivendo, e le politiche che le causano, erodono il concetto stesso di futuro. Nel pieno della più grande crisi mai affrontata dall’umanità – la crisi climatica – si investono risorse enormi su armamenti e produzioni nocive e su grandi infrastrutture che devastano i territori e perpetuano un modello fondato sullo sfruttamento della Terra e dei corpi; allo stesso tempo, si rafforzano i meccanismi di discriminazione che investono le diversità, attraversando i generi e le pluralità culturali e linguistiche, ma anche rafforzando un mito di presunto ‘sviluppo’ nel quale gli ecosistemi restano al servizio di quella parte (piccola) di umanità che vuol continuare ad arricchirsi, costi quel che costi.
La crisi climatica non è soltanto l’emergenza che vogliamo affrontare. E’ anche l’occasione che vogliamo cogliere. Perché non ci interessa salvare un Pianeta sul quale le relazioni sociali ed economiche continuano a perpetuare e rafforzare sfruttamento e appropriazione, discriminazione e diseguaglianze, e non vogliamo una transizione fondata sull’innovazione tecnologica e sul mercato. Il tempo in cui accumulare ricchezza investendo sugli sfruttamenti deve finire, perché quello è il tempo dell’ingiustizia e della catastrofe climatica.
C’è solo una strada per affrontare le cause del riscaldamento globale, ed è quella della giustizia sociale e climatica. Ed è per questo che una città capace di esprimere in pochi giorni una pluralità di occupazioni che raccontano bisogni, rivendicazioni, alternative, convergenze, è la città che può ambire a essere più progressista. Non più di altre, perché quella che si gioca sul futuro, sui diritti e sulla dignità non è una competizione tra sindaci, ma rispetto a se stessa, alla sua storia recente e al suo presente troppo spesso narrato attraverso investimenti e grandi progetti che escludono dalla quotidianità migliaia di student* senza casa, migrant* senza diritti, diversità senza cittadinanza, …
Dalla mobilità all’abitare, passando per la salute, la difesa del territorio, il reddito, il diritto di tutt* a essere parte riconosciuta e riconoscibile di un tessuto sociale che rende vivo il contesto urbano che attraversiamo, le risposte complesse alle tante crisi interconnesse che viviamo si abbozzano attraverso sperimentazioni e alternative che vivono, nelle occupazioni di questi giorni, nuove potenziali esperienze di riappropriazione e risignificazione.
Noi la giustizia climatica la vediamo negli edifici occupati in via della Certosa, in via Agucchi e in via Raimondi. Perché parlano di altrovi possibili, di nuove reti di relazioni, di un Pianeta che fonda il proprio futuro sulla solidarietà, sulla dignità, sul vivere bene di tutt*, e contro quei meccanismi che, per arricchire poch*, non hanno esistato a sfruttare, ammalare, far morire, e devastare il Pianeta. Per questo, per altro, per tutto, Vivaia TFQ, Muro di via Agucchi e Radical Housing Project sono piccoli ma importanti assaggi della città che vogliamo vivere.