Un punto di vista sullo sport popolare in questa città crediamo non possa prescindere da una riflessione sugli spazi che ad esso vengono dedicati e sui percorsi politici che dalle realtà di sport popolare stanno nascendo. Proponiamo questo contributo partendo dalla nostra esperienza di palestra popolare inserita in un quartiere della prima periferia cittadina, consapevoli che la dimensione sportiva non è mai neutrale così come non lo è ogni altro ambito della nostra società.
Che tipo di luoghi in questa città vengono destinati allo sport e quale idea di sport tali spazi veicolano? Spazi sportivi pubblici e liberamente fruibili in piazze e parchi, tacciati di essere troppo rumorosi e fonte di “degrado”, lasciano il posto a spazi recintati, privati, luccicanti, costosi, escludenti.
Crediamo che la principale funzione di una palestra popolare sia quella di essere spazio di accessibilità economica, strutturale e sociale, di creare spazi più sicuri per coloro che in altri contesti hanno vissuto lo sport come una sofferenza. Ricordiamo che lo sport in molti casi è luogo dove si concentrano dinamiche di violenza di genere, esclusione abilista e discriminazioni su più piani. A questo proposito invece di stanziare milioni di euro per nuove grandiose strutture sarebbe urgente finanziare l’abbattimento di barriere negli spazi che già esistono per renderli davvero accessibili a tutt*. Vogliamo essere presidio e motore di pratiche di cura del territorio e delle persone, in opposizione ai valori dominanti di questa società legati a sfruttamento, profitto, performatività, normatività dei corpi, competizione tossica e agonismo.
Abitiamo una palestra che si trova in un grande complesso Acer, un contesto sociale marginalizzato a cui si aggiungono problemi infrastrutturali che, ad esempio, portano la palestra ad allagarsi ad ogni pioggia un po’ più copiosa, figuriamoci durante le alluvioni.
Abitiamo un quartiere in cui uno dei pochi parchi pubblici, il Don Bosco, ha subito l’abbattimento di decine di alberi per un progetto di cementificazione che prevedeva, tra l’altro, la realizzazione di una “grandiosa” quanto superflua palestra omologata Coni. Progetto accantonato solo grazie a una preziosa lotta durata quasi un anno.
Crediamo che questa città necessiti di recuperare un punto di vista diverso rispetto al consumo di suolo e alla tutela dell’ambiente, sostenendo e potenziando le strutture già esistenti invece di speculare sulla costruzione di nuovi costosi impianti.
Guardiamo con preoccupazione, ad esempio, al progetto di un nuovo impianto di risalita al Corno alle Scale: un progetto dannoso per l’ambiente, insostenibile per l’idea che sottende l’utilizzo di risorse pubbliche, inaccettabile per l’idea di sfruttamento del territorio che veicola, anacronistico per l’idea di sport che promuove vista la crisi climatica in atto.
Rigettiamo con forza ogni tentativo di rappresentare un’idea distorta di sport, promotrice di grandi opere e grandi eventi, qui come altrove. Superiamo la logica di profitto ad ogni costo e in ogni ambito che amplifica diseguaglianze, mortifica i territori, aggrava la crisi climatica, sfrutta persone e risorse.
Allargando il raggio del nostro sguardo, abbiamo pertanto deciso di aderire al percorso contro i giochi olimpici Milano Cortina 2026. Proprio le Olimpiadi di Milano ci sembrano l’emblema di un uso improprio di risorse pubbliche per incrementare il consumo di suolo sia in città che in montagna, per opere che giudichiamo, adottando un termine chiave di questa opposizione, insostenibili.
Questo percorso politico negli ultimi anni si è sviluppato attorno alla contestazione dei giochi olimpici ma vuole guardare oltre il singolo evento, per immaginare insieme un’idea di sport alternativa a quella che le olimpiadi rappresentano. L’alternativa alle grandiose manifestazioni sportive legate a interessi economici che producono con il loro turbine di contraddizioni solo “macerie”, è creare un percorso collettivo capace di lasciare ai territori qualcosa che li arricchisca e li nutra in termini sia politici che di relazioni sociali.
Attraverso la pratica assembleare promuoviamo una politica di autogestione, una responsabilizzazione diffusa, una messa in pratica di forme di partecipazione dal basso e collettiva. Partendo dal presupposto che non può esistere una giustizia climatica senza una giustizia sociale, continuiamo a creare convergenza fra le comunità di questo territorio per generare un cambiamento. Per tutti questi motivi e molti altri ancora abbiamo deciso di rispondere alla chiamata del 12 aprile: ci vediamo alla street parade per il Bologna Climate Pride.
PPGM – Palestra Popolare Gino Milli