Di spazio delle ecologie urbane ne abbiamo iniziato a discutere la scorsa estate. Le conseguenze del riscaldamento globale sugli spazi urbani, infatti, sono sempre più evidenti: avevamo ancora in mente le alluvioni del maggio 2023, quando mezza regione finì sott’acqua, mentre l’Appennino ne uscì con i ‘crinali rotti’. Vittime, fango, case svuotate di oggetti che raccontavano anni, se non decenni, di vita. E una certa ansia per la prossima pioggia.
E, sempre in estate, soffocavamo in giornate torride provocate da ondate di calore che sembravano non finire mai. Le case di chi è sprovvisto di sistemi di condizionamento erano vere e proprie saune, mentre i supermercati erano diventati il luogo di ritrovo per chi cercava refrigerio. Pure muoversi a piedi o in bicicletta era diventato problematico e poco salutare, tra strade prive di ombreggiature e asfalto che moltiplica l’effetto ‘isola di calore’.
Come spesso accade, purtroppo, è con la realtà che alla fine bisogna fare i conti. Da anni riflettiamo, in incontri, assemblee, conferenze, su cosa significa vivere nella crisi climatica, e quest’anno abbiamo organizzato la prima Climate Justice University. Proprio per passare dalle discussioni alle pratiche, abbiamo deciso di aprire il percorso verso lo spazio delle ecologie urbane . Ma la crisi climatica ha deciso di farcelo sperimentare, in prima persona, cosa significa vivere questa nuova era che promette di non essere breve. E così, dopo un’estate rovente, è arrivato un autunno super piovoso, che ha inondato di fango la nostra città.
In questi giorni, migliaia e migliaia di persone si sono riversate nelle strade per dare una mano a chi ha visto le proprie case invase da acqua e fango. Una grande dimostrazione di solidarietà, ma anche di consapevolezza: dalla melma si esce tutte/i insieme. Al contempo, abbiamo assistito all’ennesimo scaricabarile istituzionale, tra diversi livelli di governo che si accusano reciprocamente di non aver fatto abbastanza. Ma la verità, in questo caso, non sta nel mezzo: non è vero che qualcuno non ha fatto abbastanza, perché nessuno ha fatto qualcosa. Nonostante gli studi – globali e locali – sulla crisi climatica e sulle sue conseguenze fossero da anni sulle scrivanie di tutti, si è continuato a fare come se nulla fosse. O, meglio, come se l’economia venisse prima delle nostre vite, delle nostre quotidianità. E così ci troviamo con una città debole e allagata, costretta a chiudersi in casa e a rinunciare a giornate di studio, lavoro, tempo libero.
In questi giorni molte/i hanno detto che bisogna cambiare tutto. È giusto. A partire dal ritirare quei progetti che cementificano e impermealizzano territorio: se dobbiamo cambiare tutto, a cosa ci serve allargare le autostrade della nostra regione – tra cui il Passante di Bologna – con investimenti superiori ai sette miliardi di euro? Oggi non ci sono compensazioni a cui aggrapparsi: il nostro territorio va a pezzi ed è il tempo di ritirare quei progetti e investire quelle risorse per la nostra priorità collettiva: curare e ripensare alle radici gli spazi ecologici che viviamo.
D’altra parte, abbiamo un grande bisogno di pratiche dal basso. Le ‘transizioni dall’alto’ non esistono, perché in questi decenni ogni parola istituzionale sulla crisi climatica è stata un rantolo che si è perso nel rumore della realtà: le emissioni climalteranti sono cresciute decennio dopo decennio, e altrettanto ha fatto la cementificazione del territorio a livello locale. Desigillare suoli e forestare territori devono, invece, diventare terreno di pratica e di pretesa, forme di rivendicazione e conflitto, perché lo spazio urbano è la nostra casa collettiva. È il luogo in cui pretendere di vivere bene, lo spazio nel quale vogliamo stare senza dover fuggire da acqua e fango, l’ambiente che vogliamo attraversare senza dover cercare rifugio dalle ondate di calore.
In questi giorni abbiamo spalato fango insieme a tantissime persone. È stato duro e bello. Deprimente ed entusiasmante. Ma non possiamo appendere i guanti al chiodo, perché tutte hanno diritto di vivere la città senza paura di finire sott’acqua. Per questo, ci rivediamo il 6 novembre alle 20:00 al Centro Sociale della Pace per il secondo incontro verso lo spazio delle ecologie urbane.
Nel frattempo, un grazie a quante in questi giorni hanno messo piedi e mani nel fango per dare una mano. Se questo presente non è il nostro futuro, questi sono i volti con i quali vogliamo continuare a costruire il domani.