Lunedì mattina è iniziata la recinzione del Parco Don Bosco. Nell’area verde, che ospita le scuole Besta, è previsto l’abbattimento degli alberi presenti per far posto alla costruzione del nuovo plesso scolastico, che dovrebbe sostituire quello attualmente presente. Una scelta contestata da mesi dal comitato di quartiere, che invece chiede che il parco sia salvato attraverso la ristrutturazione degli edifici scolastici esistenti.
La vicenda delle Scuole Besta mette in luce quanto importanti siano le aree verdi per i residenti dei quartieri dell’area nord di Bologna, dove l’intersecarsi di grandi infrastrutture e la presenza di ampie zone edificate ha ridotto al minimo la presenza di aree boscate. D’altra parte, evidenzia ancora una volta la distanza tra le scelte istituzionali e i bisogni degli abitanti, e l’incapacità di chi siede nelle sale di Palazzo d’Accursio di cercare uno spazio di ‘immaginazione civica’ capace di coinvolgere coloro che vorrebbero vivere in quartieri salubri e verdi.
Nel parco, infatti, si sono riuniti i residenti di quell’area, insegnanti della scuola che dovrebbe essere rinnovata, rappresentanti di gruppi e associazioni ambientaliste che da anni denunciano la crescente cementificazione della nostra città. E il comitato nato in quel quartiere – il Comitato Besta – in questi mesi non si è limitato a esporre soltanto una pur motivata contrarietà, ma ha elaborato proposte e ipotesi per conciliare l’esigenza di rendere energeticamente efficiente il plesso scolastico e la richiesta di salvaguardare il parco esistente.
È evidente che qualche decina d’alberi non cambia la qualità dell’aria – irrespirabile – della Pianura Padana. Ma se la capacità di assorbire emissioni climalteranti può essere indifferente sulla scala cittadina, ciò non toglie quanto quelle piante – e i tanti servizi ecosistemici e sociali che offrono al territorio in cui (con)vivono – siano importanti – e ritenuti indispensabili – per coloro che abitano quell’area della città. Perché quegli alberi non sono soltanto ‘arredo urbano’, ma sono parte di una quotidianità che i residenti hanno costruito nel e insieme a quello spazio verde. Dovrebbe bastare questo per spingere un’amministrazione che dice di voler sperimentare forme partecipative complementari ai processi istituzionali – è a Bologna che si è tenuta la prima ‘Assemblea Cittadina’ sul clima, giusto? – a cercare una soluzione condivisa. Invece, come accade per l’allargamento del Passante di Mezzo, l’unica risposta sono le recinzioni, mentre le preoccupazioni sulla qualità della vita e sulla salute restano ‘affar di piazza’, da relegare alla dimensione dell’ordine pubblico.
Quella dell’assenza di forme che possano valorizzare i tanti attivismi civici che si accendono in città è una contraddizione che emerge ogni qualvolta bisogna assegnare un appalto. Che sia una grande opera infrastrutturale, o una scuola, lo spazio della (ri)discussione collettiva si chiude dietro i nastri arancioni che delimitano i cantieri. E, d’altra parte, non basta sventolare nuove piantumazioni. Non solo perché la vegetazione adulta non è sostituibile ‘alla pari’ con nuove piante, che, come sappiamo, hanno bisogno di decenni per sviluppare le stesse capacità ecosistemiche della vegetazione già presente, e perché tagliarle rompe di fatto un processo di cooperazione tra società e ambiente urbano oggi vivo; ma soprattutto perché, mentre si abbattono piante per far posto al cemento, manca un piano per la forestazione della città e, in questo contesto, quegli alberi rappresentano l’ennesima porzione di verde che questa città perde.
Se ci fosse una strategia complessiva capace di dare alla città una visione ecosistemica della relazione tra edificato e vegetale, abbattere degli alberi potrebbe non essere così scandaloso; invece vediamo alberi abbattuti per mancanza di irrigazione, tagliati per fare spazio al cemento, oppure piantati in fretta e senza alcuna visione ecologica e sociale per far tornare i conti di un’opera non condivisa. Ma, nonostante gli slogan, le grandi infrastrutture e i grandi investimenti continuano a essere quelli del cemento, mentre avremmo bisogno di una grande opera capace di fare di Bologna una città-foresta, nella quale non solo delimitate aree verdi, ma l’intero reticolo urbano sia un’area boscata: nell’era del global boiling, infatti, una città verde è una città in cui si può vivere, nonostante le ondate di calore.
I cantieri avviati lunedì mattina nonostante l’opposizione dei residenti sono lì a raccontare proprio questo: che il cemento viene comunque prima della foresta. Ed è per questo che a Palazzo d’Accursio non si vede traccia d’ambientalismo: che non è chiamare il cemento ‘green’, ma porsi – anche – il problema della qualità della vita di coloro che in estate non possono permettersi un condizionatore in casa o una gita fuori porta per trovare refrigerio.