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Un altro Appennino è possibile

  • Categoria dell'articolo:convergenze Pride / NO HOME
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In questi ultimi anni, in particolare 2023 e 2024, se si percorrono le strade dell’Appennino bolognese si incontrano centinaia di frane. In montagna le strade o salgono o scendono, quindi tagliano i versanti e ormai non esiste tratto che non veda piccoli o grandi smottamenti a monte e a valle. 

Questa situazione ha portato a enormi disagi per la viabilità : paesi isolati, citiamo fra tutti il caso di Luminasio; vie importanti, come la Porrettana , interrotte in più parti, ricordiamoo le frane nel rettilineo di Pioppe, la frana al bivio per Sanguineta, gli smottamenti avvenuti in corrispondenza della rupe a Sasso Marconi. E non ha risparmiato la linea ferroviaria Bologna -Porretta colpita dalla caduta di massi ed alberi con conseguente interruzione del servizio, che, se pure insufficiente è vitale per tutta la valle del Reno. Ha pertanto comportato importanti disagi per i residenti delle terre alte, e rilevanti costi economici e ambientali.

Come sappiamo i cambiamenti climatici si manifestano con eventi estremi sempre più frequenti e sempre più intensi e certamente questa è una causa importante della situazione sopra descritta. Ma esistono altre tre cause importanti: l’incuria del territorio, il consumo di suolo e le cure sbagliate o inefficaci. Vale la pena ricordare che queste sono le cause che hanno reso molto più gravi le conseguenze di tutte le alluvioni degli ultimi anni.

Se poi guardiamo alle cure vediamo che molti interventi messi in campo dalle amministrazioni locali, si sono rivelati poco utili e in vari casi dannosi. Per esempio il taglio indiscriminato degli alberi lungo le sponde dei fiumi è un errore grave. Un conto è pulire le sponde dal legname caduto o intervenire con tagli ponderati in corrispondenza dei ponti, altra cosa è abbattere tutto, trasformando fiumi e torrenti in canali, con la conseguenza che gli alberi caduti, a seguito delle forti piogge e delle raffiche del vento, si trasformano in siluri, pronti a colpire e devastare tutto ciò che trovano sul loro cammino. Desolante vedere l’intervento fatto sul Lavino e sul torrente Olivetta. Inoltre questo taglio della vegetazione ripariale deconsolida e favorisce lo smottamento degli argini.

In montagna la situazione diventa sempre più difficile perché alla inadeguatezza delle attuali politiche territoriali si somma il lascito negativo di quelle del passato. Ci riferiamo allo spopolamento di paesi e frazioni ed all’invecchiamento della popolazione rimasta. Questo ci dicono i dati demografici. E’vero, qualcuno resiste e qualcuno è tornato a vivere in montagna, ma il saldo tra coloro che vivono nelle terre alte e coloro che partono, è fortemente a favore di quest’ultimi. Anche da qui viene una perdita di cura del territorio: manutenzione dei boschi, pulizia dei fossi, sistemazione delle scoline, gestione della regimentazione delle acque non hanno più braccia.

In questi ultimi anni sono arrivati in montagna nuovi abitanti, molti giovani, spinti dalla insostenibilità economica e sociale delle aree urbane e da scelte valoriali tra cui la ricerca di un diverso equilibrio con la terra e l’ambiente. Portano speranza e nuovi stimoli.

L’Appennino bolognese è terra di agricoltura biologica e questo ci porta al tema dell’acqua e della siccità. Venti anni sono già un tempo sufficiente per vedere le conseguenze del cambiamento climatico: inverni meno rigidi e meno nevosi, estati sempre più calde, prolungati periodi di siccità. Impianti di frutta una volta produttivi sono oggi secchi e sta cambiando la composizione dei boschi. L’acqua è un bene prezioso e se vogliamo fare vivere un’agricoltura in Appennino è fondamentale imparare a conservarla e gestirla. Conservarla vuole dire piccoli invasi distribuiti sul territorio sfruttando la minuta morfologia del terreno; gestirla vuole dire praticare un’agricoltura fondata sulla collaborazione con la natura e metodi innovativi di gestione del suolo e dell’acqua che consentono di conservare la biodiversità, prevenire il danno idrogeologico e rigenerare il suolo agricolo (curve di livello e keyline). Servono formazione e scelte precise.

Oltre questo vediamo territori ricchi di sorgenti che, causa acquedotti obsoleti che perdono il 50% e oltre dell’acqua captata, devono ricorrere ad autobotti per garantire l’acqua nei centri più isolati. Un esempio su tutti il Comune di Lizzano, che inoltre spreca acqua per fare la neve artificiale per le piste da sci. D’altra parte si è mai visto un sindaco fare campagna elettorale e conquistare voti parlando di acquedotti?

Vittorio Monzoni, Marco Tamarri per Un altro Appennino è possibile