Il 2023 si chiude come l’anno più caldo di sempre, e l’Italia è stata colpita da centinaia di eventi estremi. Uno dei più catastrofici è stato l’alluvione che ha travolto l’Emilia-Romagna, e che ha lasciato ferite ancora aperte in tanti territori, tra cui l’Appennino. A Luminasio è nato un percorso di ricostruzione sociale dal basso: lo raccontiamo in questi paragrafi.
L’alluvione
A maggio 2023 due alluvioni nell’arco di due settimane hanno travolto l’Emilia-Romagna. La seconda, in particolare, ha allagato ampie aree della pianura romagnola, dove nei giorni successivi migliaia di volontarie e volontari hanno messo in campo la propria solidarietà indossando guanti e stivali e contribuendo a liberare dal fango case e strade. Ma se la pianura è stata sommersa da una melma fatta di detriti e liquidi inquinanti, l’Appennino è stato devastato da migliaia di frane che hanno isolato per settimane moltissimi centri abitati, mettendo in luce tutta la fragilità di un territorio troppo spesso considerato la retrovia dei sistemi economici su cui si fonda il modello produttivo regionale.
Le frane hanno reso irriconoscibili interi versanti montani e collinari, cambiando in maniera indelebile il paesaggio. Allo stesso tempo, però, le colate di fango e pietre hanno interrotto collegamenti fondamentali per la vita quotidiana di chi abita le ‘terre alte’, impedendo anche le attività fondamentali, come quella di andare a fare la spesa, accedere ai servizi sanitari ed educativi, partecipare alla vita collettiva delle frazioni in cui si vive. Ma, oltre agli incalcolabili danni materiali, l’alluvione ha reso incerta la quotidianità: continuare a vivere questi luoghi, o spostarsi in territori apparentemente meno fragili? Di più, l’alluvione ha reso evidente l’inadeguatezza degli strumenti di cura di territori troppo spesso infrastrutturati senza considerare la capacità di mitigare le conseguenze di eventi estremi, oppure abbandonati a una rinaturalizzazione che, in un contesto comunque antropizzato, ha prodotto l’impossibilità di ridurre i rischi legati a precipitazioni intense come quelle che hanno interessato il comparto montano e collinare in quelle giornate. Tutto ciò, in un contesto di crisi climatica che provoca con frequenza sempre maggiore ondate di calore e siccità, alternate a piogge eccezionali concentrate in poche ore.
Da questo punto di vista, l’alluvione non può essere considerata semplicemente una catastrofe, bensì la materializzazione di fenomeni che hanno profonde radici nel modello economico e sociale che viviamo: se da una parte, infatti, il riscaldamento globale è il frutto amaro di decenni di emissioni climalteranti dovute all’uso di fonti energetiche fossili, dall’altra le scelte infrastrutturali e di gestione del territorio hanno reso i luoghi che viviamo semplicemente incapaci di affrontare le crescenti situazioni di rischio alle quali la congiuntura climatica ci espone.
La ricostruzione
Da questo punto di vista, riflettere intorno alla ricostruzione post-catastrofe rappresenta una sfida collettiva che deborda il mero aspetto materiale di ripristinare le condizioni della quotidianità precedenti all’evento estremo. In un contesto di crisi climatica e di debolezza strutturale dei territori che viviamo, infatti, la ricostruzione è l’occasione collettiva di ripensare le relazioni sociali e la loro dimensione territoriale. Se, banalmente, non si tratta di ‘ricostruire tutto come prima’, dobbiamo anche affermare che la ricostruzione è uno spazio collettivo che deve coinvolgere coloro che abitano, vivono, e attraversano i luoghi colpiti dall’alluvione. E’, anche, un processo culturale e politico, che deve fondare le proprie radici in modi altri di immaginare, progettare, e implementare le forme del nostro vivere collettivo: nell’era della crisi climatica, ricostruzione significa produrre nuove ecologie, costruire percorsi sociali collettivi, immaginare ‘altrove possibili’ nei quali avere vite belle e degne. Concretizzando, significa sia pensare agli impatti climatici delle nostre quotidianità, sia impedire che i costi ecologici delle nostre azioni ricadano sulle spalle delle/dei più deboli.
Per questo, la ricostruzione è allo stesso tempo occasione e spazio di contesa. Occasione, perché la catastrofe ci pone di fronte alcune domande alle quali cercare risposte inedite: come fare in modo che non riaccada? Come trovare forme e azioni per impedire che eventi meteorologici estremi siano devastanti per le nostre quotidianità? Come evitare che la paura sovrasti la volontà di vivere i luoghi che abitiamo? Come rendere la cura dei territori un processo collettivo e sociale? Spazio di contesa, perché scegliere di mettere le nostre quotidianità e la cura dei territori al primo posto necessariamente mette in discussione modelli economici e sociali consolidati, che sono alla base delle catastrofi che abbiamo vissuto, ma anche delle consuetudini a cui ci siamo abituate/i.
La ricostruzione è, per noi, quel processo che mette insieme consapevolezza della crisi climatica, cura dei territori, ricerca del benessere collettivo, e costruzione di percorsi sociali che rendano belle le nostre quotidianità. Di quali attrezzi abbiamo bisogno per mettere in moto questi ingranaggi? In che modo vogliamo (ri)pensare il nostro stare nei territori? Quali sono le (rel)azioni tra aree urbane e aree rurali? Come sono legate montagna e città? E come si mettono a terra queste aspirazioni?
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Luminasio
Luminasio è il luogo del nostro incontro. Tra le/gli abitanti della frazione, e “le/i ragazze/i di Bologna”. Abbiamo avuto esperienze diverse dell’alluvione: Luminasio, divisa in due da una frana che ha isolato per settimane intere famiglie; Bologna, con l’angoscia di essere allagata, un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, e la voglia di andare, fin dal primo giorno, a dare una mano a coloro che se la sono passata peggio. A Bologna come a Luminasio, però, la reazione è stata quella della solidarietà collettiva: nel capoluogo regionale, centinaia di persone che ogni mattina sono partite per le aree colpite dall’alluvione; nella frazione di Marzabotto, una collettività che si è mobilitata per garantire a chi era rimasta/o isolata/o almeno degli scampoli di quotidianità.
Poi, passata l’emergenza dei primi giorni, i nostri percorsi si sono incrociati a luglio. Un incontro fortuito che, però, ha subito fatto emergere aspirazioni comuni: la voglia di elaborare risposte collettive alla catastrofe, interrogandoci a 360 gradi; la suggestione che, attraverso percorsi collettivi, ci siano le possibilità per costruire ‘altrove possibili’, o almeno per elaborare, progettare, costruire e concretizzare azioni capaci di affrontare le complessità della catastrofe che abbiamo vissuto. E, poi, la voglia di andare oltre l’urgenza, di non limitarci a ‘rimettere a posto la casa’, ma di pensare che quella casa che viviamo possa essere più bella, confortevole e accogliente.
Sono, quelle che abbiamo accennato, sfide complesse e complessive, che ci portano ad aprire nuovi sentieri che attraversano territori inesplorati, ma che hanno costituito le fondamenta su cui è nata e si è consolidata una relazione innanzitutto sociale. E, non a caso, gli spazi di incontro e confronto sono sempre stati momenti sociali, attraverso trekking, lavori collettivi, cene di autofinanziamento, festival musicali e serate intorno al fuoco.
Finora, abbiamo abbozzato percorsi collettivi, condividendo aspirazioni e suggestioni, indagando i fattori che hanno fatto dell’alluvione un ‘fatto politico’ e cercando risposte nuove, asimmetriche, inusuali, sconosciute anche per noi che abbiamo elaborato le domande.
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Verso l’hub dell’Appennino
In questo percorso fatto di punti interrogativi e momenti di socialità, abbiamo fin da subito cercato lo spazio della concretezza. Perché se l’alluvione è un fatto tangibile e materialmente devastante, le nostre azioni non possono limitarsi all’enunciazione di alcune argomentazioni. Se, da una parte, abbiamo riflettuto sulla necessità di immaginare e costruire modi altri di vivere il territorio, e relazioni nuove tra montagna e città, dall’altra ci siamo poste/i la sfida dei passi da compiere. Che, indubbiamente, sono tanti, e necessitano di gambe ben allenate; ma, d’altra parte, un percorso non inizia se non si fa il primo passo, che non ci porterà alla meta, ma ci permetterà di iniziare a camminare.
Tra le tante suggestioni emerse in queste settimane, vogliamo provare a costruire collettivamente lo spazio sociale della ricostruzione dal basso. Un luogo materiale, fatto di mura e con una porta sempre aperta, che possa ospitare le tante socialità che, in questa lunga escursione, vogliono mettersi in cammino. Uno spazio collettivo per chi vive Luminasio, per le/i giovani che ogni giorno scendono a valle per la scuola e per il tempo libero, per le assemblee e le cene, i balli e i laboratori; un luogo di intrecci tra Luminasio e Bologna, che possa essere attraversato da coloro che quei territori vogliono attraversarli, portando proposte culturali e momenti di socialità, contributi di discussione e azioni di cura del territorio. Un luogo che possa ospitare progettualità nuove e all’altezza della sfida della crisi climatica, che sappia essere laboratorio di condivisione e coordinamento, ma anche spazio di sperimentazione, nel quale narrare non solo quel che di bello offre questo territorio, ma anche gli ‘altrove possibili’ che vorrebbe esplorare.
Nel concreto, abbiamo individuato degli edifici attualmente decadenti, su un ampio terreno pianeggiante che guarda la valle del Reno. Qui vorremmo sperimentare un processo sociale di riappropriazione del territorio, costruendo un progetto collettivo di recupero di quei ruderi che ci permetta di proseguire e rafforzare i percorsi che in questi mesi abbiamo abbozzato.
Nelle prossime settimane:
- daremo vita a dei tavoli di lavoro che possano vagliare tutti gli aspetti – o gli ostacoli – tecnici, legali, e amministrativi di questo progetto, con l’obiettivo di trovare soluzioni credibili e fattibili da condividere collettivamente e poi provare a implementare. Il primo si terrà a Luminasio a fine gennaio.
- organizzeremo una nuova giornata di cura del territorio, di socialità e balli, a inizio primavera.
A Luminasio non fermeremo le cause della crisi climatica, né impediremo che nuove piogge possano rigettare l’Emilia-Romagna nella catastrofe. Ma vogliamo costruire l’hub dell’Appennino come nuovo esperimento di riflessione, connessione e pratica collettiva: se volete partecipare, contattateci!
Abitanti di Luminasio, Bologna for Climate Justice, PLAT – Piattaforma di Intervento Sociale