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Verso lo spazio delle ecologie urbane: il contesto

  • Categoria dell'articolo:Bologna
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Mercoledì 16 ottobre si è svolto il primo dei tre incontri verso lo spazio delle ecologie urbane. Una serata ricca di voci, che abbiamo aperto con una breve introduzione nella quale abbiamo provato a contestualizzare le ambizioni e le suggestioni nelle quali si colloca questa proposta. Le riportiamo in questa pagina, aggiungendo alcuni link di approfondimento.

1.⁠ ⁠CONGIUNTURA DI GUERRA

Non possiamo non partire dal fatto che il tempo che stiamo vivendo è un tempo caratterizzato da una nuova congiuntura di guerra. Da ormai più di un anno bombardamenti e attacchi militari stanno sterminando il popolo palestinese (e ora quello libanese), mentre in Ucraina si combatte una guerra che sembra senza via d’uscita. Entrambi i conflitti, pur diversi tra loro, hanno visto successive escalation, e la spada di Damocle di un aperto scontro militare globale minaccia pericolosamente il Pianeta. La guerra – qualunque guerra – è innanzitutto un inaccettabile catastrofe per coloro che la subiscono. Ed è legata a doppio filo alla crisi climatica. Non soltanto perché un conflitto armato provoca devastazioni ambientali incalcolabili (basti pensare che, secondo alcuni studi, in tempo di pace gli apparati militari sono responsabili del 5% delle emissioni climalteranti), ma anche perché ridefiniscono le priorità; nell’ultimo anno, globalmente sono stati investiti 1,3 trilioni di dollari in armamenti: risorse sottratte agli sforzi necessari per la giustizia climatica, mentre i conflitti in corso hanno già messo nel cassetto i sogni di transizione energetica, riportando le fonti fossili al centro della scena globale. Ancor di più, quello che viviamo è un regime di guerra nel quale le ecologie, le vite, i diritti, le libertà, vengono messe in secondo piano di fronte a uno sforzo bellico che fa di ogni voce dissenziente un potenziale nemico.

Per approfondire il dibattito in corso a Bologna sulla congiuntura di guerra, visita il sito https://congiunturadiguerra.blog/

2.⁠ ⁠I MOVIMENTI CLIMATICI

All’interno di questa congiuntura, i movimenti climatici hanno visto in questi anni restringersi il proprio spazio politico. Da una parte, la grande mobilitazione giovanile del 2019 si è scontrata contro le restrizioni imposte dalla pandemia. Dalla quale, peraltro, molte/i pensavano di uscire con un rinnovato slancio ecologista; invece, questi percorsi non hanno trovato pratiche e parole per radicare una capacità trasformativa diffusa, capace di costruire processi di trasformazione e conflittualità all’altezza delle sfide che vogliamo affrontare. Di questo stallo ne abbiamo parlato nel nostro documento ‘Road to Climate Justice’. Nel quale abbiamo anche ricordato l’inadeguatezza delle strategie istituzionali. A ogni livello: sulla scala globale, dove la governance internazionale non ha voluto intervenire sulle cause della crisi climatica, tanto che dagli anni Novanta (ovvero dalla prima conferenza internazionale sul clima) a oggi le emissioni climalteranti sono state superiori a quelle prodotte dalla Rivoluzione Industriale agli anni Novanta. Ma, anche, su scala locale: a livello regionale viviamo in una delle regioni più cementificate e inquinate d’Europa, mentre le alluvioni sono un tratto ormai permanente della nostra quotidianità; a Bologna, a fronte dell’esplosione dei ricavi legati al turismo, la città non è più in grado di offrire alloggi dignitosi e accessibili, mentre in estate le ondate di calore rendono i quartieri roventi, e la cementificazione avanza, come avviene con il progetto di allargamento del Passante di Mezzo.

Le strategie promosse in questi anni non hanno fatto altro che cercare di depoliticizzare sempre più la questione climatica, come se il riscaldamento globale non fosse una questione di diseguaglianze, proponendo un approccio tecno-ottimistico nel quale troppe volte la transizione ecologica è una possibilità per coloro che se la possono permettere, e non un processo che mette in discussione ingiustizie e ineguaglianze.

In questo contesto, i movimenti climatici si sono spesso trovati prigionieri di bolle di attivismo; incapaci di uscire dalle proprie forme e dalle proprie narrazioni, in alcuni casi protagonisti di resistenze insperate – come è successo al parco Don Bosco – e convergenze necessaria – come avviene con il Collettivo di Fabbrica GKN. Tutto ciò, tuttavia, non basta a proporre un’infrastruttura sociale capace di fare delle rivendicazioni ecologiste pratica quotidiana e conflitto di lungo respiro. 

Per approfondire le riflessioni sui movimenti climatici leggi il nostro documento ‘Road to Climate Justice’.

3.⁠ ⁠LA CRISI CLIMATICA COME FENOMENO SOCIALE

Il riscaldamento globale non è (soltanto) il frutto di mutamenti fisici e chimici, ma (prima di tutto) di scelte economiche, politiche e sociali che hanno portato il Pianeta verso la crisi climatica. Queste scelte sono le stesse che hanno prodotto schiavismo, colonialismo e sfruttamento. Senza dilungarci su queste argomentazioni – che hanno una vasta letteratura – non possiamo non notare come la crisi climatica sia tutt’ora fortemente radicata in odiose diseguaglianze: se il 10% più ricco della popolazione globale produce il 50% delle emissioni climalteranti, mentre il 50% più povero della popolazione ne produce appena l’8%, è il sistema economico e sociale a essere profondamente sbagliato. Per questo, la crisi climatica va affrontata nella dimensione politica e sociale delle nostre vite: non è una scelta individuale – ‘inquinare meno’ – ma una rivoluzione collettiva che faccia pagare a chi si è arricchito compromettendo gli ecosistemi il prezzo per trasformare i luoghi che viviamo e renderli all’altezza della sfida posta dal riscaldamento globale.

Per approfondire la nostra riflessione sulla crisi climatica come fenomeno sociale, leggi il nostro documento ‘Road to Climate Justice’.

4.⁠ ⁠URBANO COME SPAZIO DI QUESTA SFIDA

Noi viviamo una città, Bologna, ed è nelle sue strade e piazze che vogliamo costruire processi e pretese per le ecologie urbane. Ma, quando parliamo di urbano, non ci riferiamo allo spazio compreso nei confini amministrativi della città, ma alle relazioni che attraversano i nostri territori. Le alluvioni degli ultimi due anni hanno reso evidente questa relazione che si estende ben oltre le mura cittadine: grandi precipitazioni in Appennino provocano frane e colate di fango, mentre rigagnoli e torrenti si gonfiano fino a raggiungere i fiumi che, nelle valli e nelle città, esondano trascinando con sé detriti e materiali. È un ‘metabolismo’ devastante che ben illustra le relazioni urbane che caratterizzano i nostri territori.  D’altra parte, l’urbano è uno degli ‘hotspot’ del riscaldamento globale, per il suo contributo alle cause – pensiamo, per esempio, al consumo di suolo – e perché è qui che molti delle sue conseguenze si scatenano – pensiamo, per esempio, alle isole di calore. Ecco perché ci sembra necessario costruire uno spazio delle ecologie urbane. Un luogo nel quale sperimentare azioni e pratiche che dovranno esondare dallo spazio alla città, diventando azione e rivendicazione, relazione e conflitto.

5.⁠ ⁠TRE VERBI PER LE ECOLOGIE URBANE

Desigillare, forestare, cucinare. Non si tratta né di tre contenitori, né di tre temi, ma di azioni con le quali praticare le trasformazioni ecologiche dell’urbano di cui sentiamo il bisogno e il desiderio di affrontare la crisi climatica come fenomeno prima di tutto sociale. Desigillare, infatti, non significa soltanto rendere permeabili le superfici della metropoli, ma anche immaginare le infrastrutture che permettano una vita bella in una città che ritrova il rapporto con il suolo. Promuovere la mobilità dolce e ridurre il numero di automobili, per esempio, significa aver bisogno di una superficie asfaltata inferiore, mentre i cortili, da parcheggi, potrebbero tornare spazi di comunità, spazi delle persone e non delle macchine. Forestare non vuol dire soltanto riempire lo spazio urbano di alberi; ma anche costruire percorsi per la diffusione e la moltiplicazione degli orti urbani, delle ombreggiature verdi, dei reticoli di biodiversità; vuol dire, anche, recuperare un rapporto urbano con l’acqua in un tempo in cui nelle nostre città quest’ultima è drammaticamente protagonista delle alluvioni. Cucinare, infine, non è soltanto preparare del cibo buono, ma anche rafforzare le relazioni sociali e politiche che si creano intorno a una tavola imbandita, gli scambi e le connessioni con le aree agricole e coloro che ci lavorano, anche ripensando il senso culturale del cibo in una città più volte associata a un mangificio. 

Desigillare, forestare, cucinare: tre verbi, ci sembra, capaci di aprire interstizi di pratica concreta, da vivere e sperimentare collettivamente, per provare a fare cose che abbiano bisogno di spazio e non solo uno spazio per poi fare delle cose. Ma, anche, tre verbi capaci di stare in una stessa frase, di proporre e produrre connessioni tra suolo, vegetazione e relazioni. Di affermare che è nel fare che possiamo trovare le forme conflittuali per trasformare radicalmente l’urbano e costruire nuove infrastrutture sociali. 

6.⁠ ⁠VERSO LO SPAZIO

Quando pensiamo allo spazio delle ecologie urbane, immaginiamo un luogo nel quale discutere e fare, praticare e sperimentare. Che si ponga all’interno de – e in relazione con – l’ecosistema di lotte, rivendicazioni, pratiche che hanno attraversato e attraversano la nostra città, creando convergenze e complicità, collaborazioni e co-progettazioni. Uno spazio abbandonato o meno oppure un terreno, un piazzale da desigillare; un interstizio urbano da cui partire, da far vivere per trasformare l’urbano. Il come realizzare queste ambizioni è l’oggetto dei tre incontri che abbiamo organizzato.